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Dott. Stefano Andreoli

Psicoanalisi e sentimento religioso: senso del divino, sacro, trascendenza, estasi, mistica, rimandi all'Uno, sentimento oceanico, l'Uovo cosmico.

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Paul Gauguin, La visione dopo il sermone
Paul Gauguin, La visione dopo il sermone (1988)
Dov'è l'amico che il mio cuore ansioso | ricerca ovunque senza avere mai riposo? | Finito il dì ancor non l'ho trovato | e resto sconsolato. | La Sua presenza è indubbia ed io la sento | in ogni fiore e in ogni spiga al vento. | L'aria che io respiro e dà vigore | del Suo Amore è piena. | Nel vento dell'estate | la Sua voce intendo. (Il posto delle fragole, I. Bergman, 1957)

Sebbene Freud (1927) abbia riassunto l'intero fenomeno religioso sostanzialmente come un'illusione che ha origine dall'antico bisogno dell'infante di un'autorità protettrice, normativa ed esemplare (il padre) a cui rivolgersi per questo o quell'altro motivo, in realtà indagare il cosiddetto aspetto "spirituale" dell'uomo significa giungere nelle profondità più antiche e recondite di tutta la sua natura. Il senso del divino, o più in generale il sentimento di qualcosa che trascende la mera biologia umana, sembra apparire in un'epoca molto precoce dell'evoluzione umana, tanto da rintracciare l'homo religiosus già nelle prime forme umane dotate di primordiali capacità di simbolizzazione, come l'Homo Erectus, il quale ci ha lasciato tracce del suo passaggio che certamente non rientrano nel mero registro materiale-strumentale (Facchini, 1985). In altre parole, il senso religioso non appartiene solamente ad una fase transitoria della storia spirituale dell'uomo, dal momento in cui il rapporto tra uomo e Dio sembra essere nato nel momento stesso in cui è sorto il tempo dell'umano (Kerènyi, 1955).

Eliade (1948) scriveva infatti che "l'uomo, fin da quando prese conoscenza della proprio situazione nel Cosmo, ha desiderato, ha sognato e si è sforzato di raggiungere in modo completo (cioè per mezzo della religione e della magia contemporaneamente) il superamento della condizione umana" (p. 168). Inoltre, secondo Durkheim (1912), la sociologia deve partire in primis dallo studio della religione perché è da essa che sono scaturite le diverse manifestazioni di tutta la vita sociale, culturale e collettiva.

E' chiaro tuttavia che ogni argomento religioso riguarda quell'area che sfugge al misero campo d'azione della ragione, ovvero l'irrazionale (quindi la soggettività del sentire e dell'intuizione), accostandosi intimamente a quella caratteristica che è propria dell'essere umano, ovvero la necessità di trasformare la realtà in qualcos'altro (la simbolizzazione). D'altronde, come scriveva la Kristeva (2014), "la psicoanalisi ha scoperto soprattutto che c'è dell'altro", ossia la presenza di un'estraneità che trascende la coscienza dell'uomo e che secondo gli psicoanalisti cade sotto il nome di inconscio.


Essere uno col tutto, questa è la vita degli dei, è il cielo dell'uomo! Essere uno con tutto ciò che vive, tornare in un beato divino oblio di sé, nel tutto della natura, questo è il vertice dei pensieri e delle gioie, questa è la sacra vetta del monte, la sede dell'eterna quiete, ove il meriggio perde la sua afa e il tuono la sua voce, e il mare infuriato assomiglia all'ondeggiare d'un campo di spighe. (Holderlin, Iperione o l'eremita in Grecia, 1797)



Il senso del divino


Veder il mondo in un granello di sabbia | e il cielo in un fiore selvatico, | tenere il cielo infinito nel palmo della mano | e l'eternità in un'ora. (W. Blake, 1794, Canti dell’innocenza e dell’esperienza)


Secondo Ries (1981) l'esperienza religiosa è "la risposta dell'uomo che si trova di fronte al mistero e che s'imbatte nella potenza misteriosa" (p. 47), o, detto in altri termini (Kerènyi, 1955), il rapporto col divino coincide con il porsi dinanzi all'Assoluto (ab-solutum: "svincolato"). Otto (1936) così definiva il contatto col "numinoso":


Il sentimento che ne emana può penetrarci come un dolore flusso di armonioso, riposante, vago raccoglimento. Oppure può trapassare l'anima di una continuamente fluente risonanza che vibra e perdura lungamente finché svanisce per riabbondare l'anima al suo tono profano. Esso può anche erompere dall'anima subitamente con spasmi e convulsioni. Può trascinare alle più strane eccitazioni, alla frenesia, all'orgasmo, all'estasi. Riveste forme selvagge e demoniache. Può precipitare in un orrore spettrale e pieno di raccapriccio. Ha i suoi antecedenti e le sue manifestazioni crudi e barbarici, e ha la sua capacità di trasformazione nel bello, nel puro, nel glorioso. Può divenire la silenziosa e tremante umiltà della creatura, al cospetto di chi - di che cosa? Al cospetto di quel che mistero ineffabile, superiore ad ogni creatura. (p. 23)


Secondo l'autore, il numinoso si riconosce dagli stati che innesca nell'animo: la meraviglia senza parole, lo stupore, l'immensa sorpresa che ammalia (il mirum, lo stupor) e che causa il rapimento estatico (il momento fascinans), "crescendo d'intensità fino all'ebbrezza e allo smarrimento" (ibid., p. 43). D'altro canto, tali stati vengono accompagnati anche da sgomento e sconcerto, ossia da quel sentimento inquietante (il tremendum) che si sperimenta dinanzi a qualcosa di completamente ignoto e d'inafferrabile che "non rientra nella cerchia della nostra realtà", che si sente come "radicalmente altro" (ibid., p. 36-37). Da ciò ne scaturisce l'inevitabile senso di impotenza e di infinita piccolezza dinanzi ad un'enorme potenza (majestas) da cui scaturisce una forza portentosa, un'energia misteriosa. Misterium, mystes, mystik sembrano infatti provenire anticamente dal lemma sanscrito muš, vale a dire ciò che resta nascosto, occulto, segreto. In altri termini, si parla di ciò che "si sottrae per la sua profondità alla zona del comprensibile" (ibid., p. 68) e che si avvicina intimamente all'inconsueto e al "totalmente altro", suscitando un particolare senso di indefinitezza.

Pettazzoni (1957) ipotizzava che il sentimento del religioso, e quindi della trascendenza, nacque nel momento in cui le prime forme umane rimasero esterrefatte nel contemplare la volta celeste, così alta, infinita, eterna, irraggiungibile e potente, regno di un Essere supremo celeste, creatore di ogni cosa, fecondatore della terra e custode delle leggi che regolano il cosmo. E l'identificazione di Urano col maschile rappresenta probabilmente il motivo per cui alcune grandi religioni si rivolgono a Dio quasi sempre con l'appellativo di Padre (in contrapposizione alla Terra che è Madre), anche se, come si vedrà più avanti, il sentimento mistico rivela in realtà tutta la potenza femminea soggiacente al senso del sacro. D'altronde, contrariamente alle religioni monoteistiche, nelle società primitive l'idea di Essere supremo varia a seconda del tipo di contesto socioculturale (egli è Colui che fornisce la pioggia, che causa terremoti, che feconda la terra, che si presta a garante della caccia, ecc.), comunque sempre affiancato da altre entità spirituali, divine o demoniache.


W. Blake (1974). The Ancient of Days
W. Blake (1974). The Ancient of Days

Il sacro nella mentalità cosiddetta primitiva


Secondo Lévi-Bruhl (1948) l'uomo primitivo vive costantemente il contatto con un mondo invisibile e soprannaturale di cui egli avverte la presenza e il profondo legame. La dimensione religiosa pervade tutta la vita dell'uomo tribale e le manifestazioni di una sacralità biocosmica sono polimorfiche e intrinseche a tutti i livelli di vita. Nel primitivo infatti tutto è connesso, e il bios stesso può possedere una dimensione trascendente (non esiste la separazione cartesiana tra materia e spirito), a partire dagli atti fisiologici fondamentali come la nutrizione, la vita sessuale o le stesse componenti corporee (il fiato, il sangue, lo sperma, il sudore, la saliva...). Da ciò la tendenza a consacrare ogni aspetto, oggetto o evento della vita intera: nell'uomo tutto può essere sacramento, e la stessa natura non viene mai adorata come oggetto in quanto tale ma come rappresentante della forza che in essa si manifesta. In altre parole, la vita dell'uomo primitivo è una partecipazione mistica a tutto ciò che lo circonda, in quanto "la vita non viene divisa in classi e sottoclassi; viene invece sentita come una interezza e una continuità che non ammette separazioni nette". (Cassirer, 1944, p. 162).


Secondo l'uomo tribale esiste infatti una forza impersonale che tutto attraversa e tutto fa muovere: il mana Melanesiano, il wakan dei Sioux, l'orenda degli Irochesi, l'Oki presso gli Uroni, il megbe fra i Pigmei africani, il naual dei messicani, il baraka degli Arabi, il manitù degli Algonquiani, l'haminja degli antichi Germani... Ed è ciò che viene percepito come insolito e straordinario, che meglio rappresenta le manifestazioni di tale forza: i fenomeni cosmici e appartenenti alla natura, le personalità forti e carismatiche dei re e dei grandi guerrieri, gli idoli, certi feticci, gli esseri divini, gli eroi leggendari, le anime dei morti... e ovviamente i soggetti che possiedono una certa relazione col sacro, come gli sciamani, i maghi o i medici-stregoni.

Come sottolineato da Eliade (1948), è il contatto con tale forza che caratterizza il sacro in contrapposizione al profano, manifestandosi sotto le più disparate forme (le ierofanie), anche le più aberranti. E ogni ierofania, in quanto propria del divino, è sempre una cratofania, vale a dire una manifestazione di potenza che trascende questo mondo. Si tratta comunque di una "potenza sperimentata" (van der Leeuw, 1933) sentita e vissuta, che caratterizza le cose come serbatoi e certe personalità come funzionari o rappresentanti di tale potenza costantemente in circolo nel mondo.

Essa rimane qualcosa di "esterno", di percepito come alter, diversa dal resto delle forze ordinarie, dotata di una potenza talmente grande da suscitare inevitabilmente sentimenti contrastanti: "tutto quel che è insolito, singolare, nuovo, perfetto o mostruoso diviene un contenitore di forze magico-religiose e, secondo le circostanze, è venerato o temuto, in virtù del sentimento bivalente provocato costantemente dal sacro" (Eliade, 1948, p. 16). Motivo per cui il sacro conserva sempre un forte carattere di ambivalenza: lo stesso termine latino sacer possiede contemporaneamente sia la connotazione di "sacro" che di "maledetto". Tale aspetto del sacro è forse evidenziato in modo palese dal concetto di tabù, parola polinesiana che dimostra come un oggetto, un'azione o una certa persona che possiedono tale forza, possano, in talune occasioni, diventare altamente pericolosi per chi ne viene a contatto o vi si avvicina, richiedendo quindi necessariamente determinate precauzioni, prescrizioni o divieti. Il mondo animistico del primitivo non è popolato solo da spiriti benevoli e fortificanti, ma anche da demoni terrifici e malevoli (i trold, gli utukku, i ginn...) che esautorano totalmente la volontà umana razionale ed ordinata (la malattia e la pazzia vengono infatti spesso attribuite ad esseri demoniaci che prendono il dominio dell'uomo).


Quanto di sconcertante penetrava nella sfera della sua azione, quanto nell'ordine dei fenomeni naturali e degli eventi suscitava negli uomini, negli animali e nelle piante, sorpresa, stupore o terrore paralizzante, ha sempre risvegliato e attirato anzi tutto il terrore demoniaco, e poi il timore sacro, ed è ciò che è assurto alla qualità di portentum, di prodigium, di miraculum. (Otto, 1936, p. 73)


L'uomo primitivo è perennemente terrorizzato nel vedere esaurite le forze che lo circondano: occorre rimettere continuamente in moto la Potenza per evitare che essa possa scomparire e che quindi non possa più assicurare la conservazione della vita (e il sacrificio rappresenta forse la via più efficace per garantire tale scopo). Perciò il primitivo cerca di direzionarla attraverso azioni di carattere magico (formule, scongiuri, riti, consacrazioni, esorcismi, ecc.), oppure per mezzo della temporanea partecipazione a questa forza, secondo le maniere di possessione sciamanica: "come mago, l'uomo non si sente più alla mercé di forze naturali e sovrannaturali. Egli comincia cioè a svolgere una parte, diviene un attore nel teatro della natura" (Cassirer, 1944, p. 177). In altri termini, con la magia l'uomo non accetta più di subire la propria impotenza, ben presto egli comincia a "protestare" incorporando il mondo a sé stesso per poterlo governare (van der Leeuw, 1933).

Da questo graduale processo deriva la degradazione progressiva del sacro nel profano: lo stesso Urano, irraggiungibile e indifferente nel Cielo, viene frammentato nella pletora di dèi che popolano l'Olimpo (dèi creati dagli uomini a loro immagine e somiglianza). Dall'Essere astratto si arriva a divinità sempre più telluriche, concrete, intime: spiriti della natura, demoni che popolano il creato, dee della fecondità... essi acquisiscono sempre più dei nomi specifici che consentono all'uomo di inserirli nel proprio quotidiano e quindi di distinguerli, invocarli e controllarli. Solo più tardi la pluralità caotica diventerà quell'insieme organizzato e strutturato di norme, dogmi, culti e dottrine atte a regolare la relazione con il divino che prende il nome di religione (religio viene infatti da relegere: "osservare, stare attenti").

La partecipazione al potere del sacro si concretizza in maniera lampante per mezzo del simbolo che "tradisce il bisogno dell'uomo di prolungare all'infinito la ierofanizzazione del Mondo, di trovare ininterrottamente doppioni, sostituti e partecipazioni a una ierofania data"  (Eliade, 1948, p. 409). Il simbolo infatti, attraverso un qualunque oggetto (come accade in senso emblematico con il totem, ma anche con certe pietre, fiori, piante, ecc..) condensa e rappresenta per intera tutta la forza sacra, di modo che il microcosmo possa diventare sostituto, simbolicamente, del macrocosmo e il frammento un rappresentante del tutto.


Il simbolo esercita una funzione esplorativa che rende possibile l'avventura spirituale dell'uomo nel mondo. Esso esercita anche una funzione di sostituto che permette la partecipazione al divino. Il simbolo è mediatore fra il divino e l'umano, fra il cielo e la terra, fra la materia e lo spirito, fra la natura e la cultura. (...) In qualunque ierofania il simbolo ha funzione di rivelazione. Mediante il simbolo, il mondo parla all'uomo e gli fa conoscere delle realtà che non sono evidenti per se stesse (Ries, 1981, p. 84)


Ma è attraverso il mito che il sacro viene inscritto profondamente nel profano, permettendo alla comunità di disporre di un modello esemplare, una via per restaurare, rivivere lo stesso tempo dell'avvenimento primordiale. Il mito corrisponde alla "dichiarazione ripetuta di un avvenimento potente" (van der Leeuw, 1933, p. 323) che è necessario ripetere affinché "il fatto rimanga vivo" (ibid.). E tale ripetizione si realizza attraverso un atto, il rito: esso "coincide, per la ripetizione, col suo 'archetipo', il tempo profano è abolito. Si può dire che assistiamo allo stesso atto compiuto in illo tempore, in un momento cosmogonico aurorale." (Eliade, 1948, p. 34) In altre parole, l'uomo primitivo cerca in ogni modo di avvicinare la propria vita immediata e circoscritta all'Archetipo che trascende tempo e culture (Jung, 1934).


Gli uomini che celebrano la festa ed eseguono le danze magiche si fondono, per così dire, gli uni con gli altri e con tutte le cose della natura. Non sono isolati; la loro gioia viene sentita dall'intera natura e i loro antenati vi partecipano. Spazio e tempo svaniscono; il passato diviene presente, torna l'età dell'oro dell'umanità. (Cassirer, 1944, p. 182)


H. Rousseau (1910). Il sogno
H. Rousseau (1910). Il sogno

La mistica


L'occhio con cui guardo Dio è lo stesso occhio con cui Dio mi guarda. Il mio occhio e quello di Dio sono un solo occhio, una sola visione, una sola conoscenza, un medesimo amore. (Meister Eckhart, La nobiltà dello spirito)


Gli aspetti del noumen vengono descritti in modo evidente da quella "esasperazione del momento irrazionale della religiosità" (Otto, 1936, p. 31) che cade sotto il nome di mistica e che, in stricto sensu, corrisponde al sentimento d'unione profondo col divino, all'esperienza immediata con l'Assoluto senza che vi sia più alcuna separatezza. Nella partecipazione mistica tutte le cose sono interconnesse e si abbattono le frontiere tra soggetto e mondo: l'irraggiungibile diviene profondamente intimo, l'altro diviene il sé, i contrasti si armonizzano, l'irrazionale diventa sensato, il dentro si riconcilia col fuori e l'ignoto diviene noto. Sono moltissime le somiglianze tra le esperienze mistiche delle diverse culture, non solo di contenuto ma anche d'espressione, seppure nella storia della psichiatria queste siano state spesso bollate come il frutto di deliri psicotici o di altre forme patologiche a carattere meramente regressivo. Probabilmente a causa della somiglianza delle percezioni e delle sensazioni straordinarie (tipicamente di qualità passiva) dell'esperienza mistica religiosa, con i fenomeni egodistonici della psicopatologia: "il mistico si sente in uno stato di sospensione, come se fosse afferrato e trattenuto da un potere estraneo" (Happold, 1963, p. 41).


Sembra che gli uomini, in un primo tempo, abbiano spiegato col nome di Dio soprattutto ciò che non capivano del mondo, ma in seguito, sempre più spesso, ciò che non capivano di se stessi. E' per questo che l'estasi - ciò che gli uomini potevano capire di sé meno di ogni altra cosa - divenne il più grande dei doni di Dio. (Buber, 1921, p.25)


L'estasi ("l'uscita da sé") è la sensazione di rapimento extratemporale derivante da tale unione mistica: "diciamo che ci troviamo di fronte a un'attenuazione o abolizione dell'Io cosciente, cui si accompagna nello stesso tempo il senso di un inglobamento, di un'immersione o dissoluzione in uno stato altro, più grande o più bello più vero dell'io stesso - e anzi, spesso: il più grande o bello e vero in assoluto" (Facchinelli, p. 102, 1989). Essa è stata spesso accostata ad una sacra ebbrezza che di colpo pervade l'intero animo permettendo di partecipare alla realtà divina, seppure in modo temporaneo e "folgorante". Deus, dia, devon, devas, ecc. provengono infatti da una radice indo-europea de/o che significa "luce", mentre il sanscrito div significa "splendere" (e dyaus, dios, dies, deivos "giorno"). Estasi che non di rado nella mistica cristiana si accosta per contiguità all'orgasmo (ove avviene anche qui la perdita temporanea del sé), per le sue forti componente erotiche e sensuali (come accade in Teresa d'Avila o in Margherita Porete), in uno slancio violento ed estraniante che ha come meta le nozze con Dio. E con l'esperienza estatica si rivelano verità fondamentali (l'apex mentis) che sono in grado di lasciare nell'animo un sentimento di pace infinita, gioia intensa, serenità, amore globale e pienezza.

Storicamente le cosiddette bevande riservate agli dèi come il soma indiano, l'haoma iranico, il kykeon dei misteri di Eleusi, o l'LSD in tempi più recenti, venivano utilizzate abitualmente per il medesimo scopo.


Vi sono due impulsi nella vita. Il primo è indirizzato verso l'ego, l'individualizzazione e la separazione; l'altro verso una via d'uscita dalla solitudine del sé, verso qualcosa di più grande dell'ego. Fra tutti gli esseri viventi, l'uomo è il più individualizzato, e tuttavia, nello stesso tempo, è colui che è più capace di partecipare, attraverso il pensiero e l'immaginazione, a ogni cosa. Questi due impulsi sono in continua lotta dentro di lui. Egli si aggrappa al proprio ego e al proprio amore di sé; é riluttante ad abbandonarli; e tuttavia, contemporaneamente, prova un innato desiderio di riunificarsi con qualcosa che sente appartenergli e da cui si sente separato. (Happold, 1963, p. 35)


L'uomo, per potere sentire la sua vera essenza, ovvero la presenza di quel Deus absconditus, deve però necessariamente fare silenzio dentro di sé  (per approfondimenti...) e creare un vuoto (kenosis) che possa eliminare ogni menzogna (la pesanteur di S. Weil), al fine di accogliere ciò che inevitabilmente alla fine si inserisce: Dio. Ma per accedere a Dio, l'uomo deve innanzitutto abbandonare il proprio Io e i limiti che definiscono il proprio essere: solo quando egli diventa nudo e privo di ogni forma, allora può diventare "pieno di dio" (entusiasta) e giungere all'unio mystica. L'essenza della vita mistica si realizza infatti in questa disappropriazione profonda al proprio ego (Origene). E spesso l'abbandono della coscienza richiede l'ausilio di una formula ripetitiva, quasi ipnotica: l'ohm buddista (suono primordiale d'invocazione basato sul prolungamento nasale della vocale "o"), la preghiera della litania cristiana, i mantra, la concentrazione focale sul proprio respiro durante la meditazione... oppure servono pratiche apposite per oltrepassare i limiti della logica e indebolire la ragione (lo stesso linguaggio dei mistici è spesso paradossale e abbondante di antitesi), come accade con i paradossi zen (i koan), gli esercizi yoga o l'abbandono alle danze cicliche dei sufi .


L'ascensione (Ignazio di Loyola) è il movimento che caratterizza l'uomo che intende trascendere la condizione umana per incontrare Dio nello strato più profondo di sé (scintilla animae): la tensione verso l'alto corrisponde all'antica suggestione verso il Cielo alto e infinito, e la salita dell'uomo verso Dio viene paragonata ad un'impervia montagna da percorrere verso la perfezione mistica (la Subida del monte Carmelo di Giovanni della Croce). Nell'anacoreta (il "ritirato" dal mondo) sono il ritiro e il distacco dati dall'isolamento nel "deserto" (il fundus animae) a facilitare il dialogo con Dio. Secondo alcune correnti più radicali della cosiddetta teologia negativa (dove la conoscenza del divino può avvenire solo per termini negativi), scopo dell'ascesi è quello di morire in Dio: le rigide pratiche adottate (come il digiuno e la mortificazione del corpo) sono finalizzate a ridurre l'Io al nulla (l'annihilatio, la noluntas schopenhaueriana) affinché Dio possa fare meglio irruzione nel cuore svuotato dell'uomo. Secondo Meister Eckhart (1999) infatti, nel momento in cui l'uomo si libera dall'ego secondo la formula del "niente volere, niente cercare, niente amare" (p.17) allora egli può entrare nell'Uno-Tutto dove "tutte le creature sono un solo essere, tutta la realtà è una" (p. 14). L'uomo rimane comunque ben poca cosa (homo-humus-humilitas) e la sua conoscenza (la docta ignorantia di Cusano) diventa retta soltanto quando è conoscenza di necessità e di distanza da Dio. Prospettiva che avvicina in modo non molto dissimile anche i Greci con il concetto di hybris (la dismisura, il non-limite), il peccato umano per eccellenza: gli stessi dèi omerici sottostavano alle medesime dinamiche umane e nemmeno Zeus, il padre degli dèi, poteva sottrarsi al volere delle Moire.


Non si potrebbe dire però, che il momento del tremendum manchi completamente, sia pure in forma affievolita, nella mistica cristiana. Rimane infatti percepibile nella caligo, nell'altum silentium, nell'abisso, nella notte, nei deserti della divinità in cui l'anima deve tuffarsi; nel tormento dell'abbandono, dell'aridità, della noia in cui essa deve rimanere; nell'angoscia, nel terrore dello spogliamento dell'Io, nello sgomento del sè, nell'annullamento, e nell'infernum temporale. (Otto, 1936, p. 109)


Caravaggio (1606). Maria Maddalena in estasi.
Caravaggio (1606). Maria Maddalena in estasi.

Rimandi religiosi all'Uno


Il dio è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame, e muta come il fuoco quando si mescola ai profumi, e prende nome dall'aroma di ciascuno di essi. (Ippolito, Philosophumena)


Nell'Induismo la manifestazione divina del tutto viene definita Brahman (che nell'anima umana è chiamata Atman). L'uomo che non percepisce l'unità di tutte le cose del Brahman si trova sotto l'incantesimo di maya, ossia si illude che la realtà sia fatta da molteplici forme illusorie ed è quindi soggiogato al karman, l'azione perpetua, finche non giunge personalmente all'esperienza liberatoria del moksa e quindi dell'unione cosmica (samadhi). Dall'Induismo provengono le scuole tantriche che mirano a rendere partecipe l'uomo con le energie e i ritmi del Cosmo attraverso la scomparsa delle "forme", il superamento delle polarità e quindi l'abolizione dei dualismi, che altro non rappresentano che la restaurazione dell'Unità primordiale. Realtà umana (Atman) e realtà cosmica (Brahman) sono pertanto una cosa sola, la sostanza dell'Io coincide con la sostanza del Tutto (il tat tvam asi: "tu lo sei" o "tu sei Quello").


Nel Buddismo l'esperienza mistica viene definita come "risveglio" (l'illuminazione satori dello Zen), ossia l'esperienza che va al di là del mondo degli opposti e delle distinzioni, e che permette di raggiungere il mondo dell'a-cintya, quello dell'essenza assoluta, per incontrare il Dharmakaya, il "corpo dell'essere". Altrimenti l'uomo che si trattiene alle cose transitorie e mutevoli, rimane intrappolato al ciclo perpetuo di nascita e morte, il samsara. Lo stato di liberazione da questo circolo vizioso è detto Nirvana, la "beatitudine inesprimibile". Il buddismo è il misticismo del Vuoto dove però l'esperienza del vuoto assume il carattere paradossale di pienezza.


Nel Taoismo, la realtà ultima è il Tao, la "Via", che allo stesso tempo corrisponde al processo dinamico di continui mutamenti e al ciclo immutabile delle stagioni nel quale ogni cosa vi è immersa. L'idea delle configurazioni cicliche del moto del Tao è definita dalle due polarità opposte, lo yin (il potere femminile, ricettivo e buio, associato alla Terra, simbolo della quiete e dell'intuizione) e lo yang (il potere maschile, forte, luminoso e associato al Cielo, simbolo del moto e della razionalità), L'equilibrio di queste componenti in continua interazione è mantenuto da un flusso continuo d'energia, chiamata ch'i.


C'è qualcosa che indistintamente perfetto,

E precede la nascita del cielo e della terra.

Quanto è calmo! E quanto è vuoto!

Autonomo e immutato,

Vaga in cerchio senza ostacoli.

Si può considerarlo la madre del mondo.

Non conosco il suo nome.

Lo definisco Tao

E lo chiamo - ma è insufficiente: Ciò che è grande.

(Lao Tze in Tao-Te-King)


Nell'Islamismo è col sufismo che il Dio si fa intimo all'uomo diventando l'Amato. L'esperienza mistica di unione con Lui esige che l'uomo perda completamente il proprio sé e che progredisca verso una più alta coscienza spirituale. Tuttavia, contrariamente ad altre forme mistiche, il mistico sufi è tenuto ad immergersi nel mondo per poterlo vedere come Dio lo vede, ossia con assoluta bellezza e amore (non a caso la poesia rappresenta la forma prediletta scelta dai sufi per descrivere l'esperienza mistica).


L'Ebraismo, che forse per antonomasia è la religione dell'alterità e dell'irraggiungibilità del Dio Padre, possiede nella Cabala le fonti mistiche più penetranti, soprattutto grazie al Chassidismo, che postula l'immanenza di Dio nell'universo (panenteismo). Se l'uomo saprà applicarsi con dovizia e intenzione profonda (kawwanàh) alla preghiera, allo studio e all'osservazione dei precetti su ispirazione e guida dell'uomo "giusto" (Zaddiq, il tramite di Dio), allora egli potrà avvicinarsi a Dio (deveikuth) anche nella sua vita quotidiana, divenendo quindi capace di ricucire sacro e profano.


Ma è forse col Cristianesimo che si hanno le forme più evidenti, molteplici e appassionate della mistica. In esso, compare qualcosa di totalmente nuovo rispetto alle altre religioni: un uomo che afferma di essere Dio (ossia l'identità ontologica tra uomo e Dio). Perciò la stessa figura di Cristo diventa la via con cui ogni singolo uomo può trovare la salvezza, attraverso la koinonìa (la comunione) con Lui ma soprattutto per mezzo dell'imitazione (l'unione) di Lui, che si basa fondamentalmente sull'esperienza dell'Amore (San Paolo). Secondo Giovanni (il primo vero mistico cristiano), "Cristo è Dio, una sola cosa con il Padre, così il cristiano, unito a Cristo come i tralci alla vite, è Dio in Dio" (Vannini, 1999, p. 98).


Ti amo, fratello, chiunque tu sia, sia che tu t'inchini nella tua chiesa, o t'inginocchi nel tuo tempio, o preghi nella tua moschea. Tu ed io siamo figli di una sola fede, giacché le diverse vie della religione non sono che le dita dell'amorevole mano di un solo Essere Supremo, una mano tesa verso tutti, che offre a tutti l'interezza dello spirito, ansiosa di accogliere tutti. (K. Gibran, 1958, La Voce del Maestro)


Johfra Bosschart, Unio Mystica, 1973
Johfra Bosschart, Unio Mystica, 1973

Prospettive psicoanalitiche


La mistica ha un carattere erotico; quello che è erotico spinge all'unione; l'unione di cui si parla nell'esperienza mistica ha una qualità materna. Ecco il punto a cui siamo giunti. (Araùjo, 2015, p. 64)


La fusione divina esperita dai mistici sembra descrivere intimamente la sensazione elazionale della vita uterina del feto (Grunberger, 1971) e l'esperienza estatica del neonato (Meltzer, 1988) che non solo rimangono inscritte permanentemente nell'inconscio di ogni uomo, ma rappresentano la mèta inconscia universale verso cui fare ritorno (per approfondimenti...). La rinascita in Dio del mistico trova il parallelismo con un ripristino del mondo indifferenziato della preesitenza, ovvero l'immersione in quell'acqua (amniotica) in cui ogni uomo ha trovato la propria dimora: la sostanza primordiale della vita che precede ogni forma, dà vita ad ogni creazione e rigenera (purifica) da ogni male. Non a caso Freud (1929) definiva tale esperienza di unione divina come sentimento oceanico, Ferenczi (1924) come nostalgia "thalassica" (thalassa: mare), Neumann (1948 in AA.VV., 1949) come stato uroborico-pleromatico, mentre Rank (1924) arrivò a costruire un'intera metapsicologia attorno al trauma della nascita e le sue derivazioni simboliche.

Là, il feto era egli stesso l'Uno, il Cosmo intero, l'androgino divino che riunisce in sé gli opposti (coincidentia oppositorum) e l'assenza di conflitti e di tensioni, godendo di completezza, totalità e immortalità (non esiste il tempo, ma l'eternità): "i miti e i riti arcaici legati allo spazio sacro e al tempo sacro si lasciano ricondurre, parrebbe, ad altrettanti nostalgici ricordi di un 'Paradiso terrestre' e di una specie di eternità 'sperimentale', a cui l'uomo crede di poter ancora rivendicare l'accesso" (Eliade, 1948, p. 371). E questo Paradiso Terrestre (simbolo di una perdita irreparabile), declinato nella storia con diverse accezioni (l'isola del "buon selvaggio" di Dafoe, il paese del jazz, le "isole dei beati" o semplicemente il paesaggio esotico sognato dall'uomo moderno) altro non corrisponde che alla tensione nostalgica di quel sentimento originario che accompagna l'uomo fin dal momento della sua nascita, e che sembra accostarsi intimamente alle molteplici forme religiose, dalla spiritualità arcaica dei primitivi alle forme spirituali odierne. Il sentimento mistico, che meglio rappresenta dunque questo ri-tornare, ri-conoscere, re-staurare tale pleroma originario (Dio), costituisce l'esperienza fondamentale della condizione umana nel suo tentativo incessante di ricucire ciò che una volta era unito (religione quindi come re-ligare). Già Plotino scriveva che l'anima "smarrita nel divenire, incapace di trovare il principio di se stessa, vaga infatti per il molteplice, e non può trovare pace se non compie il cammino di ritorno alla sua origine, che è appunto l'Uno" (Vannini, 1999, p. 70).


Miti di discesa nel mondo dell'oltretomba sono associati a Osiride e alla guerra tra Horo e Seth in Egitto; con Tammuz, Attis, Adone, Ereshkigal, Gilgamesh e Marduk nei miti babilonesi; con Asura Prajapati, Indra e Visnu in India; con Manda d'Haije e Habil-Ziua nelle sorie mandee; con Izanagi, Izanami e la dea del sole, Amaterasu, in Giappone. Nella mitologia greca poi, abbiamo talmente tanti racconti di discesa nell'Ade che verrebbe da pensare che esistono molti modi per rappresentare questa discesa, oppure molte maniere per compierla. E il pensiero corre subito al Sole nella caverna (inferno) dell'Eone, a Trifonioe ed a Persefone, per non parlare di Odisseo. (Miller, in AA.VV., 1982, p. 83)


Il senso del motivo della discesa agli inferi che appartiene ad ogni cultura e mitologia indica che l'uomo debba sprofondare di nuovo nelle tenebre del descensus Averni, reimmergersi transitoriamente nell'indistinto della profondità delle acque uterine, regredire temporaneamente nello stato amorfo e indifferenziata del caos primordiale, per potere risalire trasformato da tale esperienza. Hillman (1979) ha sottolineato il carattere di rivelazione del viaggio ctonio (il mondo dei morti), solo nel momento in cui esso diventa una vera e propria discesa nelle profondità più recondite, oscure e orrorifiche del regno di Ade. Cosicché là si possa cogliere (under-stand: "stare sotto") la vera natura di Plutone ("ricchezza" e "tesori"), ossia la potenza primigenia del mondo immaginale e simbolico dell'inconscio: "le immagini di Ade sono anche dionisiache: non fertili nel senso naturale, ma nel senso psichico, immaginativamente fertili. [...] C'è una danza nella morte. Ade e Dioniso sono lo stesso dio" (p. 62).

Il fine (soteriologico) dell'uomo primitivo consisteva infatti nella com-partecipazione al sacro (ossia lo stretto contatto con la Forza, la Potenza nouminosa), al fine di produrre un rinnovamento della vita, una guarigione, un risanamento. Così da diventare un "uomo nuovo", con "nomi nuovi" e "nato di nuovo": "l'esperienza fondamentale è identica: una potenzialità nuova penetra la vita, che è sentita come del tutto diversa" (van der Leeuw. p. 412). In altri termini, l'uomo ha necessità di rimettersi in contatto con il potere vitale dell'inconscio, per poter riattingere alla condizione paradisiaca dell'"uomo primordiale", dove cosmo (il Tutto) e individuo (l'Uno) si trovavano in uno stato indifferenziato, anteriore cioè alla nascita (la Creazione). Inconscio che, come grembo materno, rappresenta la matrice divina dell'inesauribile potenza creativa, spazio di vita e di rigenerazione (proprio come accade ogni notte attraverso il sogno - per approfondimenti...). D'altronde già Origene faceva notare come la discesa agli inferi fosse sempre un viaggio che si compie nell'interiorità (in-fero: "portare verso l'interno"), ovvero, come dirà più tardi sant'Agostino, il luogo privilegiato in cui potere incontrare Dio e quindi la propria salvezza per mezzo della grazia.


Il colore del mondo inferiore è generalmente tetro. L'anima scende realmente nel mondo dell'ombra, oltre che delle ombre; tuttavia non si dimentica mai del tutto che il tenebroso inferno è contemporaneamente il seno fecondo della madre. (van der Leeuw, 1933, p. 253)


Come già insegnava Dante, la dinamica fondamentale che si rivela nell'uomo è quella di un perpetuo movimento discendente e ascendente (catabasi e anabasi) a carattere dialettico: "ecco perchè sono così numerose le sacralizzazioni della Sommità e dell'Abisso" (Brun, in AA.VV., 1982, p. 9), ed ecco perché nella mitologia greca Zeus è fratello di Ade (Hillman, 1979). Neumann (1949) ha brillantemente illustrato tale principio, prendendo come esempio il mito dell'Eroe, il quale scende negli abissi (l'inconscio) per lottare contro il drago (l'indifferenziazione dello simbiosi materna), libera la principessa prigioniera (le nozze sacre dello hieros gamos che integrano l'Anima nell'uomo e l'Animus nella donna) e ascende infine col tesoro faticosamente ottenuto (la trasformazione dell'individuazione, dove l'Io incontra il Sé). Tale viaggio rappresenta quindi un mistero iniziatico e di resurrezione teso a rendere la coscienza dell'Io più ampliata ed atto ad insegnare all'uomo il paradosso di vivere nel molteplice e nell'unità senza dissolversi in essi. Perché occorre sempre ricordare che, come il sacro può dare la vita ma anche la morte, e può essere utile ma anche altamente pericoloso (il tabù), l'immersione nell'inconscio conserva sempre lo stesso ineluttabile carattere ambivalente. La stessa fonte che rigenera e arricchisce la vita è la stessa che, in qualità di Grande Madre divoratrice (la "bocca" dell'inferno), può inghiottire l'uomo attraverso le ripetizioni rigide, irreversibili e imitative delle caratterizzazioni psicopatologiche, se l'Io non è abbastanza forte da vincere il "drago" (per approfondimenti...). Per l'Io della coscienza, l'incontro con gli abissi dell'inconscio rappresenta sempre un'esperienza critica e potenzialmente insidiosa, essendo intrinsecamente "rivoluzionaria ed eretica" (Neumann, 1948, p. 92 in AA.VV. 1949). Questa introversione, che è legata alle caratteristiche più primitive della psiche (Silberer, 1914), può rappresentare la minaccia di un sconvolgimento dell'equilibrio dell'Io e dell'economia psichica, il timore della catastrofe dell'esperienza psicotica (la perdita dell'Io derivante dal riassorbimento totale nell'oceano materno): "il mistico e lo psicotico - il santo e il pazzo - guardano, infatti, l'uno verso l'altro" (Araùjo, 2015, p. 66).


Nell'introversione la libido si inabissa nella sua "stessa profondità" (immagine cara a Nietzsche) e lì sotto, nelle tenebre dell'inconscio, trova il sostituto del mondo superiore che ha abbandonato, cioè il mondo delle fantasie e dei ricordi, dove stanno le immagini della prima infanzia più potenti e ricche di suggestione. E' il mondo del bambino, lo stato paradisiaco dell'infanzia più tenera, dalla quale un giorno una dura legge ci separò. In questo regno sotterraneo sonnecchiano dolci sentimenti natali e le speranze infinite per tutto ciò che sarà... Eppure, come dice Mefistofele: "Il pericolo è grande". La profondità seduce; essa è la "madre", e la morte. Se la libido resta impigliata nel regno meraviglioso del mondo interiore, allora per il mondo esterno l'uomo diviene uno spettro, è come se fosse morto o gravemente malato. Ma se la libido riesce a staccarsi e a riemergere al mondo superiore, allora avviene un prodigio: questo viaggio negli inferi è stato un elisir di lunga vita e dalla morte apparente rinasce una nuova fertilità. (Silberer, 1914, p. 262)


Scena da Il Settimo sigillo (1957), di I. Bergman
Scena da Il Settimo sigillo (1957), di I. Bergman
Conclusioni

Abbiamo ancora il diritto di parlare esclusivamente di un subcosciente? Non sarebbe piuttosto il caso di presupporre anche l'esistenza di un transcosciente? (Eliade, 1948, p. 415).


Il senso religioso obbliga l'uomo a riconoscere il problema dell'esistenza, vale a dire chi egli sia e come possa collocare la sua posizione nel cosmo: non a caso i riti d'iniziazione tra i primitivi servivano a rivelare all'iniziato i segreti metafisici, inserendolo così a tutti gli effetti all'interno della comunità e quindi nel mondo. In altri termini, come sosteneva Heidegger (1927), l'uomo non riesce ad accettare passivamente il mondo in cui vi è gettato, ma se ne preoccupa: a ciò che gli è stato dato egli risponde ininterrottamente "no" e su questa negazione fonda la propria umanità. In tal senso il simbolo (attraverso la potenza evocativa dell'immagine) rispecchia la necessità umana di rivenire dell'altro nella realtà in cui vi è immerso, costituendo pertanto il rappresentante diretto di quel sostrato umano arcaico (l'inconscio) che, in ultima istanza, spinge costantemente a ricucire ciò che originariamente era unito.


Quanto più si è sviluppata la conoscenza scientifica, tanto più il mondo si è disumanizzato. L'uomo si sente isolato nel cosmo, poiché non è più inserito nella natura e ha perduto la sua identità inconscia emotiva con i fenomeni naturali. Questi, a loro volta, hanno perduto a poco a poco le loro implicazioni simboliche. Il tuono non è più la voce di una divinità irata, né il fulmine il suo dardo vendicatore. I fiumi non sono più dimora di spiriti, né gli alberi il principio vitale dell'uomo, né il serpente l'incarnazione della saggezza o l'antro incavato della montagna il ricetto di un grande demonio. Nessuna voce giunge più all'uomo da pietre, piante o animali, né l'uomo si rivolge a essi sicuro di venire ascoltato. Il suo contatto con la natura è perduto, e con esso è venuta meno quella profonda energia emotiva che questo contatto simbolico sprigionava.

Questa perdita enorme è compensata solo dai simboli dei sogni. Essi ci ripropongono la nostra natura originaria, con i suoi istinti e il suo particolare pensiero. Sfortunatamente, però, essi esprimono i loro contenuti nel linguaggio della natura, che per noi è strano e incomprensibile. Ci troviamo perciò di fronte alla difficoltà di tradurlo nelle parole e nei concetti razionali del linguaggio moderno, che si è liberato dalle sue implicazioni primitive e in particolare da ogni partecipazione mistica con le cose da esso descritte. Oggigiorno, quando parliamo di spiriti e di altre figure soprannaturali, non li evochiamo più. Queste parole un tempo magiche hanno ora perduto tutta la loro potenza e il loro fascino. Abbiamo smesso di credere alle formule magiche; i tabù e le altre restrizioni di questo tipo sopravvivono in numero sparuto; il nostro mondo sembra essersi disinfestato da tutte le creature della « superstizione», come « streghe, maghi e fattucchiere », per tacere dei lupi mannari, dei vampiri, delle anime della foresta e di tutti gli altri esseri bizzarri che popolavano la foresta primeva. Per dirla con linguaggio più preciso, la superficie del nostro mondo sembra essere stata ripulita di tutte le superstizioni e di tutti gli elementi irrazionali. (Jung, 1967, p. 76 - 77)


Le scoperte "recenti" della fisica che fanno del tempo e dello spazio questioni relative, e l'affascinante mondo invisibile del quantistico (si pensi solo all'ancora inspiegabile fenomeno dell'Entanglement), sembrano descrivere una realtà in cui ogni cosa dell'universo è connessa alle altre, le proprietà di una parte è determinata dalle proprietà di tutte le altre sue parti, e dove l'infinitamente piccolo appare intimamente simile all'infinitamente grande: "la meccanica quantistica ci costringe a vedere l'universo non come una collezione di oggetti fisici separati, bensì come una complicata rete di relazioni tra le varie parti di un tutto unificato" (Capra, 1975, p. 157). Proprio come accadeva nel cosiddetto uomo primitivo, in cui le esperienze macrocosmiche non erano sentite come estranee, bensì come connaturate alla sua stessa esistenza, secondo una "parentela di tutte le forme di vita" (Cassirer, 1944, p. 164).

Scoprire ciò che hanno rivelato le esperienze mistiche, psichedeliche (e molto probabilmente, anche quelle psicotiche, almeno di un certo tipo), ovvero il collegamento tra ciò che lega uomo e natura, psicologia e cosmologia, inconscio e realtà fisica, rappresenta forse la sfida più stimolante e inesplorata della ricerca, oramai quindi orientata non più solo sulle leggi che governano l'uomo, ma anche l'interno cosmo. Ricerca già intrapresa audacemente da Jung (1952) con il costrutto di inconscio collettivo, l'influenza pseudo materiale (psicoide) degli Archetipi, l'ipotesi di una conoscenza trascendentale (transcerebrale) e soprattutto attraverso l'idea di sincronicità, ovvero la "coincidenza temporale di due o più eventi non legati da un rapporto causale, che hanno uno stesso o un analogo contenuto significativo", o, in altri termini, "la simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi esterni che paiono paralleli significativi della condizione momentanea soggettiva" (p. 471). In senso generale appare sempre più significativa l'idea dell'unus mundus, ovvero il concetto di mondo unico dove psiche e materia sono interdipendenti ad un qualche livello non ancora ben noto.

La bozza che ne emerge è quella di una sorta di Uovo Cosmico (una matrice oceanica cosmica?) in cui circola una Forza (l'Eros?) che genera in modo perenne, che tutto circonda e che è in grado di tenere legate misteriosamente tutte le cose. Una sorta di "milieu divino" (Tehilhard de Chardin) in cui il divino è presente come "la luce del sole nei frammenti di uno specchio rotto" e dove "tutti gli elementi dell'universo si toccano a vicenda per mezzo di quello che è il più interiore e ultimo fra loro" (in Happold, 1963, p. 401). Già Anassimandro e più tardi la scuola stoica parlavano infatti di un "soffio" onnipresente, il "pneuma", che fornisce forza ad ogni cosa e che è in grado di tenere insieme l'intero cosmo. Che non sia questo il significato ultimo di quel misterioso monolito nero di 2001:Odissea nello spazio (Kubrick, 1968) che ancora oggi tormenta i critici senza avere trovato risposte soddisfacenti? Eppure, forse scaltramente, il regista ci rivela la soluzione all'enigma con l'ultima immagine della pellicola, il "feto cosmico", l'immagine perfetta della coincidenza tra psyché (anima) e cosmo.


Ascolto e scorgo Dio in ogni oggetto, e tuttavia Dio non lo capisco affatto, | come non capisco chi mai possa esiste più straordinario di me. | Perché dovrei desiderare di vedere Dio meglio di quanto non lo veda oggi? | Vedo qualcosa d'Iddio in ogni ora delle ventiquattro, in ogni momento di esse, | nei volti di uomini e donne vedo Dio, e nel mio volto riflesso allo specchio, | trovo lettere inviate da Dio per le strade, ognuna firmata col nome d'Iddio, | e le lascio dove si trovano, perché so che, ovunque mi rechi, | altre puntuali verranno, sempre e per sempre. (W. Whitman, 1855, Foglie d'erba)


W. Blake (1810). Illustrazione dell'uomo primordiale in "Milton: una poesia".
W. Blake (1810). Illustrazione dell'uomo primordiale in "Milton: una poesia".

Riferimenti bibliografici


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Suggerimenti filmografici


2001:Odissea nello spazio (1968), di S. Kubrick

Aguirre furore di Dio (1972), di W. Herzog

Al di là delle nuvole (1995), di M. Antonioni

Andrej Rublëv (1966), di A. Tarkovskij

Centochiodi (2007), di E. Olmi

Come in uno specchio (1961), di I. Bergman

Così lontano così vicino (1993), di W. Wenders

Decalogo (1989), di K. Kieslowksi

Diario di un curato in campagna (1951), di R. Bresson

Dio ha bisogno degli uomini (1950), di J. Delannoy

Francesco d'Assisi (1966), di L. Cavani

Godland - Nelle terre di Dio (2022), di H. Pàlmason

Il cattivo tenente (1992), di A. Ferrara

Il cielo sopra Berlino (1987), di W. Wenders

Il grande silenzio (2005), di P. Gröning

Il posto delle fragole (1957), di I. Bergman

Il sapore della ciliegia (1987), di A. Kiarostami

Il settimo sigillo (1957), di I. Bergman

Il silenzio (1963), di I. Bergman

Il Vangelo secondo Matteo (1964), di P. P. Pasolini

La fine è il mio inizio (2010), di J. Baier

La leggenda del santo bevitore (1988), di E. Olmi

La messa è finita (1985), di N. Moretti

La montagna sacra (1983), di A. Jodorowksy

La passione di Cristo (2004), di M. Gibson

La sottile linea rossa (1998), di T. Malick

La vita nascosta (2019), di T. Malick

L'ultima tentazione di Cristo (1988), di M. Scorsese

Luci d'inverno (1963), di I. Bergman

Magnificat (1993), di P. Avati

Mission (1986), di R. Joffè

Nazarìn (1958), di L. Buñuel

Nostalghia (1983), di A. Tarkowskij

Ordet (1955), di C.T. Dreyer

Perfect days (2023), di W. Wenders

Piccolo Buddha (1993), di B. Bertolucci

Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera (2003), di K. Ki-Duk

Sette anni in Tibet (1997), di J.J. Annaud

State buoni se potete (1983), di L. Magni

The Fountain - L'albero della vita (2006), di D. Aronofsky

The Three of life (2011), di T. Malick

Uomini di Dio (2010), di X. Beauvois

Waking Life (2001), di B. Linklater


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