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Introduzione
Vivono nel buio della notte e nelle tenebre del nostro inconscio. Si insinuano nei nostri sogni. Si nutrono delle nostre paure. Strisciano nelle nostre inquietudini, spiano le nostre debolezze, affiorano dai nostri turbamenti, cingendoci in un oscuro abbraccio. Crescono nel cuore dell'eterno conflitto tra vita e morte, bene e male, razionale e irrazionale, armonia e instabilità, ordine e caos. Sono figli dell'ignoto. (Soave, 2019).
La storia dei mostri comincia con l'incarnazione delle più segrete paure dell'infanzia e soprattutto di quelle che turbano i sogni di ogni uomo in ogni tempo, nel luogo dove gli antichi pensavano di accedere ad una realtà "altra" piena di strane creature, demoni e defunti dell'Aldilà. Non c'è da stupirsi dunque se il mostruoso, essendo una componente fondamentale della mitologia di ogni cultura, abbia destato interesse fin dagli albori dell'umanità: già nel 2800 a.c. su delle tavolette d'argilla babilonesi appare un "documento" di "mostrologia" (Fiedler, 1978) che fornisce una linea guida alla fetomanzia (la predizione attraverso il feto) e alla teratoscopia (la divinazione basata sulle nascite anormali). Infatti la stessa parola "mostro" deriva sia da monere (ammonire) che da monstrare (mostrare), rinviando all'apparizione di qualcosa di straordinario come nel caso di eventi soprannaturali o di segni premonitori, in genere catastrofici (Daston e Park, 1998).
Di fatto, tutto ciò che in un qualche modo è abnorme o insolito assume il carattere di mostruoso e, che sia un prodotto della fantasia o il risultato delle più bizzarre malformazioni fisiche (il freak), esso viene considerato come una presenza oscura e inquietante, non di rado con tratti violenti, malvagi e sanguinari, suscitando ribrezzo e terrore ma sempre anche una sorta di perturbante fascinazione e di irresistibile curiosità.
[I mostri] sono l'ancora di salvataggio di ogni nostra normalità che necessità conferme continue e ci garantiscono un porto sicuro ogni volta che li chiudiamo fuori dalla porta, oltre quella soglia che ognuno di noi pone loro come limite invalicabile. (Ciseri, 2018, p. 10)
La rappresentazione del mostro costituisce una funzione intrinseca della psiche (la teratopoiesi) che proietta in immagini le parti più oscure che la appartengono, ciò che viene considerato come anormale o abominevole e che rischia continuamente di minare la stabilità dell'intero ordine morale, sociale e naturale.
Perciò il mostro diventa sempre e comunque l'Altro, qualche altra cosa estranea da sé che non si sa come spiegare o classificare adeguatamente, proprio come mostruose furono descritte le razze indigene scoperte dai primi esploratori europei durante i primi viaggi in regioni esotiche e ignote. Persino oggi, che sono finiti i luoghi inesplorati sulla terra, continuiamo a proiettare fuori i mostri che abitano le profondità della nostra psiche, immaginandoli negli alieni che popolano il lontano e il misterioso universo.
Storie ed enciclopedie di mostri
Già Erodoto sosteneva l'esistenza nelle Indie di creature (gli sciapodi) con un solo piede, tanto grande da potere essere utilizzato come parasole, mentre nel suo immenso trattato di Storia naturale, Plinio il Vecchio osservava come nelle parti più remote d'Etiopia brulicassero creature meravigliose, citando giganti, pigmei, uomini con la testa di cane (cinocefali), creature con i piedi rivolti all'indietro... Perfino ne Il Milione, il celebre diario di viaggio scritto da Marco Polo, compare la descrizione di creature di pura fantasia, assieme al resoconto di animali che nessuno in Europa aveva mai veduto (come coccodrilli e rinoceronti). Di frequente infatti, gli avventurieri che compivano esplorazioni in terre straniere lontane trasfiguravano ed ingigantivano certe caratteristiche delle popolazioni locali alimentando un immaginario del mostruoso che si sarebbe tramandato per secoli. Questo scenario di mostri (o prodigia, portenta, ostenta) sembrava avere un carattere più bizzarro e stravagante più che orrorifico, ma sicuramente esso costituiva non solo un prodotto di credenze folcloristiche o di invenzioni letterarie, ma un corpus di idee radicate sia nell'uomo incolto che in quello dotto.
La mitologia greca ha offerto la più svariata rappresentazione del mostruoso, soprattutto attraverso una delle caratteristiche fondamentali che è propria di molti mostri: l'essere ibridi. La mescolanza di diversi regni (umano, divino e animale), l'incertezza della sua forma, rende infatti l'identità del mostro fluida, confusa, sostanzialmente inafferrabile, fuggevole alle leggi che ordinano ragione e creato. Se nel Satyricon di Petronio e nelle Metamorfosi di Apuleio compaiono già creature orrorifiche, è con l'Odissea che spuntano entità mostruose da ogni parte: la Chimera (con la testa leonina sputafuoco, il corpo caprino e la coda di drago), la Sfinge (la donna col corpo di leone, la coda di serpente e le ali di falco), Echidna (la donna serpente), il Centauro (mezzo uomo e mezzo cavallo), il Satiro (mezzo uomo e mezza capra con orecchie d'asino), i Tritoni (mezzi uomini mezzi pesci) e via dicendo. Ovviamente non mancano anche creature mostruose, maligne e vendicative che fanno trovare morte certa a chi si imbatte in loro: Scilla e Cariddi, il Minotauro, le Sirene (dove Eros si unisce a Thanatos), le Arpie (orrendi rapaci che straziano le carni degli uomini), le Erinni (con dei serpenti al posto dei capelli), le Gorgoni (con denti aguzzi, ali d'oro e capelli serpentiformi), l'Idra di Lerna (con nove teste di serpente), il Grifone (per metà aquila per metà leone), la manticora (corpo felino, testa umana e coda di scorpione), ecc...
Nella visione mitologica dei greci, ogni luogo pullula di presenze segrete: esseri misteriosi si aggirano intorno alle fonti, nei boschi, sulle rive dei fiumi, nelle profondità del mare o agli incroci delle strade. Ogni albero, ogni specchio d'acqua può nascondere la presenza di una ninfa. In ogni grotta può celarsi un mostro. In ogni sentiero solitario può manifestarsi un fantasma. In ogni casa può nascondersi una presenza demoniaca, La schiera dei demoni e dei mostri è infinita. Il nostro mondo appartiene anche a loro. (Ieranò, 2017, p. 10)
Sebbene inizialmente i Padri della Chiesa inserivano il mostruoso nell'ordine naturale e razionale di Dio (ogni nascita è miracolosa), ben presto, col Medioevo, il mostro finisce per essere considerato come la conseguenza di una violazione morale e quindi come un castigo divino in risposta al peccato umano. Esseri nati con certe malformazioni venivano considerati il frutto di zoofilia e quindi la creatura che ne derivava era il segno del peccato compiuto: la mostruosità fisica diviene anche morale. Con l'avvento dell'Inquisizione, il cristianesimo non ha tardato troppo ad intendere il "segnato" (lo zoppo, il deforme, lo storpio, il gobbo...) con chi portava esteriormente il "segno" di qualche riprovevole peccato connesso con le forze oscure del maligno e della stregoneria. In questo nuovo scenario cristiano, le creature mostruose si svestono dei panni del bizzarro e del magico per diventare esseri terrorizzanti dell'inferno che offrono ai peccatori torture e sevizie per tutta l'eternità.
Ma è col Cinquecento che l'interesse verso il mostruoso raggiunge il culmine: a volte incorporate in opere erudite in latino, sorgono vere e proprie enciclopedie sui mostri con le più fantasiose e pittoresche illustrazioni: è il caso del Monstruorum historia di U. Aldrovandi, del Monstres et prodiges di A. Parè, del Histories prodigieuses di Boiastau, del Prodigiorum ac ostentorum chronicon di Licostene, ecc. Un campionario variopinto di mostruosità umane e di meraviglie esotiche emergono da queste enciclopedie: fauni, androgini, ciclopi, blemmi (acefali), gli astomori (privi di bocca), i panozi (con orecchie giganti), gli aigipani (con corna e zampe caprine), i gorgadi (totalmente ricoperti di pelo), i brachistomi (con le labbra unite), ecc... già nel Medioevo erano molto diffusi i Bestiari, una specie di trattati di tutte le creature dei mondi allora conosciuti che si riteneva essere reali.
Nonostante la Riforma Protestante abbia acuito la paura della dannazione eterna partorendo nel mondo dell'arte raffigurazioni mostruose con un impatto visivo ineguagliato nei secoli a venire, col Seicento l'angoscia del mostruoso diventa sempre più gusto per lo straordinario secondo un interesse sempre più scientifico che intende comprendere e catalogare ogni fenomeno fisico e naturale. Il mostruoso inizia così ad affollare le Wunderkammern, le camere delle meraviglie: stanze, per lo più di aristocratici o ricchi commercianti, adibite a stupire gli ospiti attraverso vaste collezioni di stranezze naturali e artificiali, antichità, oggetti esotici e bizzarri e reperti stupefacenti... ossia tutto ciò che può suonare come straordinario e inaudito.
Con l'Ottocento il mostro viene riscattato divenendo quasi il personaggio letterario per antonomasia a cui ispirarsi: esso, raffigurato come un essere con cui simpatizzare fino a divenire oggetto d'immedesimazione, quando non popola il cosiddetto romanzo gotico, viene accostato intimamente all'eroe dannato byroniano, erede del diavolo miltoniano (Praz, 1930). Da un punto di vista letterario, il vampiro fa la sua apparizione nel 1819 con J. Polidori, un anno dopo del mostro di Frankenstein di M. Shelley, R. L. Stevenson pubblica Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886) e appare il celeberrimo Dracula (1897) di Bram Stoker. Mentre Poe, Hoffman, Hugo, Baudelaire, Dostoevskij e più tardi Lovecraft (gli scrittori tenebrosi con più confidenza con gli aspetti seducenti e intriganti del mostruoso), umanizzano sempre più il mostro fino a scoprirne il luogo d'origine, ossia dentro il cuore dell'uomo stesso. Sebbene con l'Illuminismo e il Positivismo le creature mostruose si allontanano sempre più dal mondo del folclore e della religione, durante il Romanticismo il kraken (la piovra gigante che abita gli abissi del mare), continua a popolare le storie dei marinai, fantasmi e spettri ricompaiono nella parapsicologia e nello spiritismo, i freaks show si diffondono a macchia d'olio.
Col Novecento anche il mostro viene inglobato interamente dall'apparato scientifico delle scienze biologiche attraverso la teratologia, la scienza delle malformazioni congenite. Il mostruoso assume sempre più le caratteristiche stesse della realtà, con gli orrori, le miserie e gli squallori delle metropoli industriali o come specchio orrendo della società borghese. Il mostro insomma si rinviene sempre più dentro l'uomo stesso, nelle tenebre della propria anima o, come mostra F. Kafka con La Metamorfosi (1915), negli orrori della patologia psichica. Infine, col nuovo millennio il mostro diventa a tutti gli effetti una creatura originata dagli sviluppi incessanti del sapere tecnologico e dell'ingegneria biologica, coi suoi androidi ad intelligenza artificiale così simili agli homunculi degli alchimisti, ai golem dei cabalisti, ai replicanti di Blade Runner (R. Scott, 1982).
Vampiri e fantasmi
Da un punto di vista folkloristico, la tradizione vampiresca si perde nei tempi, dato che le prime testimonianze risalgono addirittura alle civiltà persiane e assiro-babilonesi. I vampiri greci venivano chiamati vrykolakes (termine che forse in origine designava il lupo mannaro) o nosferatu (probabilmente da nosophoros, "portatori di malattia"), mentre nei paesi dell'Est Europa il termine "vampiro" compare solo nel 1725, e deriva dal termine magiaro vampir, con le varianti bulgare di vapir e upir in russo (che si presume derivi dal turco uber, "strega").
Il vampiro fa la sua apparizione letteraria con J. Polidori (il segretario dell'oscuro Lord Byron) nel 1819, anche se gran parte degli elementi della narrativa vampiroide era già comparsa nel 1797 con la Sposa di Corinto di Goethe. Ovviamente è stato il celeberrimo Dracula (1897) di Bram Stoker a rendere indelebile l'iconografia del vampiro fino a nostri giorni, nella sua tipica duplice accezione: da un lato il mostro succhiasangue e portatore di malattie, dall'altro una creatura misteriosa e affascinante, foriero di una sorprendente carica erotica.
Già nel rintracciare l'etimologia del termine si evince che è difficile demarcare una linea netta del mostruoso quando si parla di vampiri, licantropi, spettri, zombie, proprio per la sua natura ibrida, ambigua, inafferrabile, proteiforme. Tuttavia la definizione che accumuna le accezioni culturali nel corso della storia è quella che identifica il vampiro "nello spirito di una persona defunta o nel suo cadavere, rianimato dal proprio spirito o da un demone, ritornato per tormentare l'esistenza dei vivi, privandoli del proprio sangue o di un qualche loro organo essenziale, per aumentare la propria vitalità." (Petoia, 2006, p.23). Nonostante le diverse accezioni culturali, resta il fatto che il vampiro sia sempre lo straniero (per i greci gli occhi azzurri denotavano l'inclinazione al vampirismo, viceversa per gli irlandesi lo erano gli occhi scuri): egli reca male ed epidemie e in generale é un essere che infrange ogni norma morale, sociale e naturale.
Il vampiro, può inoltre trasformarsi in diversi animali, anche se la tradizione vuole che siano il lupo e ancor più il pipistrello le sue metamorfosi predilette. Il pipistrello è infatti un animale totalmente notturno, ripugnante per molte culture (che lo consideravano la causa di molte pestilenze), che realmente si nutre di sangue (perlomeno per un tipo di Chirotteri, i desmodi) e ovviamente volante (secondo la psicoanalisi classica il volo è strettamente legato alla sessualità).
Il vampiro rispecchia uno dei timori più antichi dell'umanità: il timore del ritorno dei morti, la paura che "le anime dell'Aldilà possano venire a visitarci, magari con intenzioni ostili" (Ieranò, 2017, p. 65). In altri termini, si tratta del tema dei fantasmi inquieti di chi è deceduto prima del tempo e che continua a perseguitare il mondo dei vivi. D'altronde, come ha documentato Frazer (1933), le religioni primitive hanno tutte il timore dei morti che ritornano sotto le spoglie di qualche demone o spettro in grado di nuocere ai vivi (dinamica che in buona parte ha alimentato l'origine del culto degli antenati). Secondo Rohde (1894), in origine le stesse Erinni, i temibili demoni della vendetta che di norma dormivano nelle profondità dell'Ade, erano i morti di morte prematura e violenta (spesso a causa di consanguinei) che si levavano dalle loro tombe come revenants spettrali per tornare a visitare le case dei vivi.
Tutte le antiche cerimonie come quelle delle Antesterie greche o la festa romane dei Lemuria (lemures o larvae sono infatti le anime dei defunti) servivano per fare entrare le anime dei defunti nelle case dei vivi, dove veniva imbandito per loro un banchetto, per poi imporne l'uscita e ristabilire così la divisione tra il regno dei morti e quello dei vivi (un po' come accade con l'attuale festa di Halloween, nella notte in cui si permette agli spiriti maligni di vagare per il mondo dei vivi). L'obiettivo era quello di tenere sotto controllo il regno dei morti, ristabilendo un contatto pacifico con loro. Stessa principio vale per i fantasmi che come anime in pena infestano le case perseguitando i loro abitanti: le spoglie del morto devono essere scoperte e tumulate in forma adeguata per fare ritrovare loro l'uscita da una sorta di limbo. Per far trovare pace al presunto vampiro bisognava invece scoperchiarne la bara, piantargli nel cuore un paletto di legno (il frassino per lo più), decapitarlo e bruciarne il corpo per essere più sicuri; si osservi come la violenza di tale prassi denoti un certo sadismo agito nei confronti di questo non morto incapace di guardarsi allo specchio (i morti non hanno l'ombra o il riflesso).
Freud (1913) ha spiegato questo fenomeno con tale dinamica: se il vivo si mettesse nei panni del morto (che spesso erano parenti come lo sono solitamente le prime vittime dei vampiri), allora egli farebbe fatica a restare cheto nella tomba, tanto avrebbe motivo di ritornare nel mondo dei vivi. Il vivo cioè proietta nel vampiro i propri sentimenti ambivalenti di amore e odio nei confronti del morto, dove senso di colpa (l'ostilità vendicativa del vampiro) e affetto (il desiderio di riunirsi al defunto) si condensano nella figura del vampiro. Più in generale quindi il demone rappresenterebbe la proiezione del desiderio di morte inconscio da parte del vivo verso il defunto, come accade similmente con il fenomeno del lutto che sfocia in depressione introiettiva (per approfondimenti...) dove il soggetto rimprovera se stesso rimuovendo la propria ostilità. Anche Jones (1931) ha ribadito l'aspetto ambivalente del legame col morto, sottolineando come il succhiare il sangue da parte del vampiro rispecchi la proiezione nei vivi dei moti erotici rimossi (a causa della alta carica di sadismo contenuto in essi).
D'altronde il vampiro reca con sé anche l'idea antichissima (Camporesi, 1988) che sia il sangue ad essere il nutrimento dei morti (anche nell'Ade le ombre dei defunti possono rianimarsi bevendo sangue), sullo sfondo di una sessualità perversa (sadica-cannibalica) e necrofila (si pensi ai vari simbolismi alla morte come la bara, il cimitero, le tenebre, il pallore).
Il vampiro incarna anche la figura della seduzione diabolica e della sessualità libera e sfrenata che attira le proprie vittime per potersene cibare, secondo l'antico tema che accosta intimamente la sessualità con la morte. E su questo tema la vampiressa si sposa facilmente con quel tipo di femminilità dark da femme fatale (la vamp per l'appunto) che usa la sessualità per ingannare, uccidere e castrare il maschile (il morso sensuale come vagina dentata - per approfondimenti...).
Le antenate del vampiro come le Empuse greche (creature femminili in grado di cambiare aspetto che seducono gli uomini per berne il sangue), le Lamie (suggitrice di sangue infantile), Lilitu (il demone mesopotamico rappresentante la forza della tempesta, divenuta successivamente nella tradizione ebraica Lilith, il demone della lussuria e la persecutrice dei neonati) e la ghul (il demone vampiro della tradizione araba) accostano tutte quante la seduzione erotica all'antropofagia, la bellezza con la crudeltà.
Già Propp (1949) aveva osservato come ai non morti venisse sempre attribuita un'intensa voracità famelica e sessuale, mentre secondo Jones (1931) la cultura del vampiro si installa particolarmente dove ci sono dei desideri sessuali rimossi, dove l'erotismo è ancora intimamente legato al tabù, alla frustrazione e al concetto di peccato. Di fatto, dal Medioevo al Settecento demonologia e vampirologia rimangono a stretto contatto: demoni della notte (gli incubi) visitano vedove e vergini al fine di carpirne la verginità o per rompere le catene dell'ordine famigliare.
Lupi mannari
La genesi dell'uomo lupo risale ai tempi antichi dello sciamanesimo e del totemismo, le epoche in cui l'uomo cercava di fare propri i poteri della natura attraverso la metamorfosi in animali: nei paesi scandinavi ad esempio, i guerrieri vichinghi, ricoperti da pelli di lupo, per acquistare forza e insensibilità al dolore in battaglia, entravano in uno stato di trance furiosa, trasformandosi in bersekir. Infatti in Europa il lupo era considerato l'animale più temibile e feroce, a causa della minaccia costante per greggi e mandrie nei primi villaggi sedentari: nella Roma imperiale durante i Lupercalia, i sacerdoti danzavano vestiti da lupi e compivano sacrifici di capre in onore del dio Fauno per scongiurare le razzie al bestiame. Nel Satyricon il lupo mannaro veniva definito versipellis ("rovescia pelle"), un essere in grado di ribaltare la propria pelle umana in pelo ferino durante la metamorfosi in lupo nelle notti di luna piena (luna-lunaticismo-follia). Con il Cristianesimo, dato che l'agnello diviene il simbolo del Cristo, il lupo, in quanto divoratore delle greggi, fa da contrappunto come simbolo del male, della magia nera e del Diavolo. Durante gli anni bui dell'Inquisizione il numero di processi e di esecuzioni di presunti lupi mannari raggiunge quasi trentamila casi documenti solo in Francia, il paese d'elezione del loup garou.
Il lupo mannaro può rappresentare la proiezione dell'incubo umano di ritornare ad uno stadio completamente selvaggio, protoumano, pre-evolutivo. Ossia l'immagine di tutto ciò che si contrappone alla civiltà umana: il regno dell'homo ferus (come lo definiva Linneo per separarlo dall'homo sapiens), la regressione al geek, all'essere subumano che, spogliato da ogni traccia di umanità e incapace di controllare ogni istinto, è divenuto in tutto e per tutto simile alle bestie. Il licantropo incarna in generale la rappresentazione dell'uomo zoomorfo sopraffatto dalla depravazione e dalla sregolatezza degli impulsi, l'essere selvaggio (silva, "foresta") come i satiri dissoluti che abitano il mondo dei boschi e della natura, insidiosi per gli uomini civili della società "evoluta". In altri termini, esso esprime cioè "la sfrenata libertà di una vita senza leggi, tutta immersa nel godimento della natura selvaggia" (Di Nola, 1987, p. 90). Il composto uomo-animale è uno degli esseri già più comuni della letteratura medioevale, come i cinocefali (corpo umano e testa di cane) o gli onocentauri (tronco umano e il resto a forma di cavallo), e spesso era associato alla violazione delle norme sessuali. Similmente anche i barbari Centauri, i Lestrigoni o i Ciclopi dell'Odissea presentano i caratteri di esseri bestiali che vivono nelle caverne, ignorando le leggi e le norme che governano la società. Anche nella narrazione biblica, Nabucodonosor, a seguito di incubi terrifici, abbandona gli uomini e passa ad uno stato allucinatorio nel quale si riduce a bestia selvatica, errando nudo e trasandato e mangiando erba per il bosco.
Nella mitologia greca inoltre capita spesso che la punizione da parte degli dèi in seguito all'infrazione di qualche legge umana o divina, consista in una trasformazione del reo in bestia.
Ecco allora che il lupo mannaro diventa, come in alcuni paesi del nord Europa durante l'Alto Medioevo, il simbolo del male da bandire dalle città: criminali, delinquenti e malati psichici venivano costretti in esilio nelle foreste, diventando dei veri e propri "lupi" a causa della loro depravazione morale (e fuori dalla civiltà, essi non potevano che assumere un aspetto ferino, dovuto agli abiti logori e sporchi e alla barba e ai capelli incolti).
Nelle leggi dell'anglosassone Edoardo il Confessore (1002-1066) si fa riferimento al wulfesheud, la testa di lupo, per indicare colui che veniva espulso dalle mura cittadine perché reo di fatti imperdonabili e gravissimi. Il banno, cioè l'ordine di espulsione dalla città e la condanna a sopravvivere nelle foreste, errando nottetempo, rapinando e aggredendo, nutrendosi di ciò che capitava, ed esposto in ogni momento al rischio di essere ucciso da chiunque lo avesse scovato, trasformava così il bandito in un loup garou, un lupo mannaro, quella figura per metà umana e per metà ferina che ha alimentato il mito dell'orco pedofago e dell'uomo nero e che incarna il male assoluto nelle fantasie atterrite dei bambini. (G.S. Manzi in AA.VV, 2021, prefazione)
Diavoli e demoni
L'elenco dei vari demoni partoriti dall'uomo è pressoché infinito: solo nell'antica cultura mesopotamica i demoni sono numerosissimi e alcuni di essi verranno ripresi dalle culture successive come quella ebraica, soprattutto all'interno della Cabala e del Vecchio Testamento. Qui ritroviamo ad esempio, per citarne alcuni, Asmodeo, Azazel, Behemoth, Belphegor, Belzebub, Moloch, Sammael... nella cultura islamica invece troviamo Iblis (il male che vive nel deserto arabico) e i Jinn (antichi esseri mutaforma fatti di fuoco). La cultura induista divide i demoni in tre classi: gli Asura (come la dea Kalì-Ma, la "madre nera"), i Rakshasa (come Ravana, il più temibile demone indiano) e i Pikasa (come i Preta, una sorte di spiriti maligni che animano i morti e abitano i cimiteri). Nella cultura cinese Yama domina Pitris, l'inferno cinese, in quella giapponese bisogna stare molto attenti ai Kappa (demoni acquatici particolarmente malvagi) e a Tengu (creatura dell'aria rapitore di bambini). Loki invece era la grande incarnazione nordica del Male, personificazione dell'inganno e della malvagità: suo figlio si chiama Hel, da cui proviene hell, inferno, mentre il suo lupo, Fenrir, divorerà Odino durante l'apocalisse norreno, il Ragnarok. I popoli nordici inoltre dispongono di una fitta schiera di spiriti maligni minori come gnomi, coboldi, folletti, trolls, gremlins, assieme alle Banshee (spettri terrificanti di donne morte di parto), gli Sluagh (gli spiriti dei morti e delle fate cattive), gli Urisk (elfi malvagi scozzesi).
Le leggende popolari delle terre germaniche e scandinave riempivano i boschi e le caverne di troll, selvaggi esseri umanoidi che si tramutano in pietra al contatto con il sole; elfi, dotati di poteri magici e capaci di rendersi invisibili agli umani; goblin, piccole e ripugnanti creature mostruose che sottraggono i bambini nella culla; orchi, giganti antropomorfi divoratori di uomini. (Soave, 2019, p. 22)
Si può sostenere che prima dell'avvento del cristianesimo non esisteva una personificazione del Male come completa opposizione al Bene in una visione dualistica della divinità. Col Cristianesimo invece (soprattutto col Nuovo Testamento) il Diavolo (da diàballlo, ciò che si mette in mezzo per ingannare, separare e disgregare) diventa il Nemico, il Male contro cui combattere in quanto distinto completamente dal Bene. Dal Libro di Enoch si scopre la storia di Lucifero, l'angelo decaduto, mentre dal censimento infernale di un vescovo del Cinquecento, J. Weyer, si scopre che esistono più di settemila demoni alla corte di Satana (l'oppositore, il tentatore); legioni di diavoli divisi per grado riempiono elenchi interminabili redatti da dotti ecclesiastici. Di fatto durante il Medioevo tutto ciò che riguarda la demonologia, la magia, la psicopatologia, le deformità fisiche, le calamità naturali... finisce per ricadere sotto l'opera di Belzebù, e con la Divina Commedia e la sua minuziosa descrizione dell'Inferno, il Diavolo diviene un'ossessione per i secoli a venire, raggiungendo l'apice nel Cinquecento, tra le opere di Lutero e il fenomeno delirante della caccia alle streghe.
Benché il polimorfismo del Signore delle Tenebre sia la sua caratteristica principale, il diavolo cristiano (perlomeno durante tutto il Medioevo) si presenta quasi sempre con il classico aspetto dei mostri pagani: lo zoccolo caprino del satiro, le corna, le orecchie appuntite, la coda e la puzza di zolfo (probabilmente dal retaggio di Thor, il dio nordico del fulmine). D'altronde, molto spesso i demoni, in linea con quanto detto in precedenza, vengono rappresentati come esseri ibridi composti da parti animali, caratteristica che si manifesta soprattutto negli arti inferiori. E che i demoni siano animaleschi deriva senz'altro dal fatto che gli animali "si prestano a rappresentare indirettamente desideri primitivi e incontrollati" (Jones, 1931, p. 66).
Jones (1931) ha documentato come la creazione del vasto numero di demoni notturni che riempiono il folclore sia derivato in buona parte dal mondo degli incubi: infatti nei paesi nordici si pensava che l'incubo fosse uno spettro orribile che si sedeva sul petto della persona, bloccandogli il respiro ed i movimenti. Lo stesso termine inglese nightmare contiene la parola indo-germanica mara che designava un demone che schiaccia e opprime (accostandosi all'antico germanico mar, cavallo, l'animale collegato in molte culture al soprannaturale). Mentre nel Medioevo il più delle volte con "incubo" si designava un demone libidinoso che faceva visita alle donne violentandole nel sonno (mentre il succubo seduceva gli uomini). E dunque l'importanza che da sempre i popoli antichi davano ai sogni, in questo caso agli incubi, "è un omaggio, fondato su un'intuizione psicologica esatta, a ciò che di indomito e indistruttibile è nell'anima umana, al demoniaco che fornisce il desiderio del sogno e che ritroviamo nel nostro inconscio" (Urtubey, 1983).
Se già il neurologo francese Charcot aveva definito la possessione diabolica come una forma d'isteria, Freud (1892) non ha esitato troppo a vedere nell'inconscio stesso (soprattutto nel rimosso) caratteristiche demoniache, descrivendo il diavolo come una controvolontà estranea per il soggetto che si sente di agire contrariamente alle proprie intenzioni (successivamente egli definirà invece come demoniaca la coazione a ripetere). Ma, indirettamente con Totem e Tabù e con il Caso clinico del presidente Schreber, è solo quasi trent'anni dopo che Freud (1923) fa emergere in maniera esplicita l'associazione tra il diavolo e il padre cattivo: il diavolo nascerebbe dall'odio e dalla paura del figlio verso il padre, facendone un essere malvagio e terrificante (così come i desideri di morte vengono trasformati in spiriti maligni). Nel corso del tempo Freud ha dato varie interpretazioni al diavolo (Urtubey, 1983), considerandolo come una condensazione di varie accezioni simboliche, ultima delle quali legata agli impulsi distruttivi che governano l'uomo e che appartengono intimamente alla pulsione di morte (Thanatos).
Il quadro generale che emerge anche da autori successivi (Reik, 1923) mostra come il diavolo sia il prodotto di una scissione che vede Dio come totalmente buono e il Diavolo come completamente cattivo (e quindi, come diceva anche Sant'Agostino, il Male non è altro che assenza di Bene), al fine di risolvere quel forte sentimento di ambivalenza che unisce inevitabilmente lo stesso oggetto (il padre), contemporaneamente amato e odiato. In linea con questa interpretazione, Jones (1931) ha specificato come il diavolo possa rappresentare il padre rivale e persecutore che si può ingannare solo con l'astuzia e l'inganno (le uniche armi del figlio); il figlio che cerca d'imitare il padre, diventandone spesso la caricatura (che è infertile come lo sperma "freddo" del diavolo); il figlio che sfida il padre (Lucifero è il figlio ribelle di Dio).
Da un punto di vista socioculturale il diavolo diventa perciò nel corso dei secoli la proiezione personificata dei meccanismi di distruzione umana, la spiegazione per l'insofferenza al mondo presente così pieno di crudeltà (Di Nola, 1987), ma anche l'insieme di fantasie di liberazione trasgressiva dalle norme sociali e di godimento assoluto dei sensi che la struttura culturale nega agli uomini (di nuovo viene in mente Freud col suo Disagio della civiltà). Anche quando il diavolo inizia a perdere la sua forma animalesca originaria con la progressiva caduta del motivo teologico medioevale, diventando un distinto signore che veste panni borghesi (come ne Il maestro e Margherita di M. Bulgakov o ne I Fratelli Karamazov di F. Dostoevskij), esso continua a conservare la sua aurea ambigua, misteriosa, malvagia e portatrice di caos, questa volta acquistando però in seduttività, eleganza, astuzia e fascino. E dunque il patto con Mefistofele (come nel mito di Faust) rappresenta il desiderio materializzato di onnipotenza dell'essere umano che conta sul potere del diavolo per avere ciò che non può con altri mezzi (lo stesso Lucifero pecca d'orgoglio nel volersi fare simile a Dio), e che tuttavia richiede sempre un prezzo alto da pagare (come la propria anima): "il doppio che era all'inizio l'angelo guardiano dell'uomo, colui che gli assicura l'immortalità, si è a poco a poco trasformato nella coscienza persecutrice e martorizzante dell'uomo, nel diavolo" (Rank, 1914, p. 64).
Il Diavolo, per interi millenni, è stato la valvola di scarico di molte generazioni frustrate e relegate nei gradini più bassi della scala sociale; la figura demoniaca ha abbracciato una realtà ampia e variegata. Egli è stato chiamato in causa in situazioni alquanto diverse; quali le malattie, i disastri naturali, le stragi, ma anche in casi di invasamento, di desiderio sessuale, di stravaganze, di sconcezze, di donne di facili costumi. Il Diavolo, insomma, da impertinente, "ci mette sempre la coda" in quasi tutte le circostanze della vita, e a volte riesce anche a divertire, a creare situazioni grottesche e imprevedibili. Ma è pur sempre un personaggio potente in cerca di anime da trascinare verso il regno oscuro della perdizione. (Roncone e Luzio, in Crispino et al., 1986, p. 154).
Streghe
Anche in questo caso, ogni popolo e cultura ha le sue antichissime streghe, maghi e fattucchiere a cominciare da Circe e Medea, le affascinanti e terribili maghe dell'Odissea, ed Ecate, la dea più antica di Zeus stesso, maestra di tutte le streghe. Il termine strega proviene dal latino stryx, un rapace che si pensava assalisse gli uomini succhiando loro il sangue, preferendo, ovviamente, la carne morbida dei bambini. Nella cultura romana le streghe assomigliano molto alle Lamie, demoni femminili mutaforma che durante il sonno si lanciavano sui bambini per dissanguarli (come si nota, esiste una correlazione frequente tra il demone alato, avido di sangue e l'eros o il materno). Tuttavia solo a partire dal XIV secolo queste figure leggendarie che avevano sempre abitato i racconti popolari come maghe tutto sommato benevole (le herbarie che guarivano i malati con rimedi naturali e assistevano le partorienti), iniziano ad incarnare la rappresentazione della tipica strega maligna, brutta e arcigna, la "puttana del Diavolo" dedita alla magia nera e responsabile di ogni malefatta. Da qui ebbe inizio un lungo periodo buio in cui un imprecisato numero di innocenti venne sottoposto alle più severe e perverse torture, arso al rogo o giustiziato in modo spettacolarmente cruento. Solo con l'Ottocento, come è accaduto anche per le altre figure mostruose, la figura della strega verrà riabilitata come fattucchiera seducente e affascinante, portatrice di un antico sapere agreste legato al potere di Madre Natura.
Le streghe infatti venivano accusate di crimini di ogni sorta: assassinii di bambini, malocchi in grado di provocare la morte improvvisa, rendere sterili terre, infecondi i raccolti e gli animali, negromanzia (l'evocazione o l'interrogazione dei morti per conoscere il futuro e altri segreti), causare calamità naturali, trasformare gli uomini in bestie, portare la follia negli uomini, spostarsi in breve tempo per ampissime distanze, ecc.
In verità, molto spesso le streghe erano semplicemente donne di sapienza provenienti da realtà complesse che si opponevano al clima repressivo della Chiesa e alle norme opprimenti di una società in mano totalmente ad un potere maschile (Battisti, 1964). Perché se la strega era tanto odiata dalle istituzioni molto probabilmente era anche dovuto al fatto che questo tipo di femminilità si occupava di due aspetti tabù all'interno della società: il sesso e l'ostetricia, soprattutto riguardo la contraccezione e la pratica abortiva per intervenire sulle nascite indesiderate. Esse erano infatti considerate esperte in ogni branca della natura, abili conoscitrici di erbe e di rimedi naturali, elementi degradati in seguito nella tradizione iconografia in ingredienti disgustosi preparati nel classico calderone o in filtri, pozioni, feticci per causare il male. Dunque la strega non era che l'esacerbazione negativa di quella cultura giudaica-cristiana che vedeva la donna come fonte di ogni male (avendo per prima assaggiato il frutto proibito offertole da Satana nell'Eden e avendo convinto Adamo a fare altrettanto), in quanto responsabile di occuparsi di azioni illecite che travalicavano le leggi naturali e divine e che danneggiavano gli uomini (per approfondimenti...).
Le inquisizioni del XII secolo provocarono il caos in Europa: nessuno sfuggiva alla mano onnipotente e sanguinaria della Chiesa. I Protestanti, come i Cattolici e i Calvinisti, sembravano ossessionati dall'idea di giustiziare gli eretici; non importava molto se le vittime fossero colpevoli o innocenti. Il più piccolo indizio. vero o falso, di qualsiasi rapporto col Diavolo, mandava una persona al rogo. Una sgradevole verruca o un neo erano il marchio del diavolo; un cane o un gatto accolti amorevolmente in casa diventavano folletti domestici e chiunque era colpevole finché non veniva provata la sua innocenza. E' strabiliante il numero di streghe giustiziate: centomila nella sola Germania e almeno il doppio in tutta l'Europa. (Hyatt, Charles, 1974)
Il Malleus maleficarum, scritto nel 1486 da due domenicani (Krämer e Sprenger), che rappresenterà il manuale d'elezione per il perfetto inquisitore nei secoli a venire, è una dimostrazione di come le streghe rappresentassero una minaccia soprattutto per l'ordine socioculturale maschile, divenendo pertanto il grande capro espiatorio di una sadica misoginia pervasiva. Infatti nel libro i riferimenti alla sessualità sono innumerevoli e le streghe vengono primariamente incolpate di impedire agli uomini di realizzare l'atto sessuale, renderli impotenti, far sparire il loro organo sessuale... la sfera erotica diviene cioè l'ossessione su cui si accanisce l'Inquisizione con un certo latente piacere perverso.
Ovviamente l'amplesso col diavolo è l'elemento essenziale per definirsi una strega ed è da lui che derivano i suoi poteri soprannaturali (come volare sul fallico manico di scopa o tramutarsi in animale), il che significa che la donna che conosce e vive i segreti della sessualità è una strega ed è il diavolo che glielo ha permesso. La messa nera del Sabba (che ha luogo nella notte tra il sabato e la domenica) è infatti un raduno nel quale presenzia Satana stesso come un grande caprone che apre la cerimonia con "l'osculum infame (il saluto e atto di sottomissione della strega che consiste nel baciare l'ano del diavolo), e prosegue con una processione durante la quale le adepte bestemmiano, calpestano oggetti sacri e inscenano una parodia della messa. Dopodiché aprono le danze, scatenano le orge, partecipano a una messa nera e infine si ritrovano tutte intorno al fuoco, per una succulenta grigliata di bambini, con cui banchettano fino all'alba, quando il grande caprone elargisce i poteri magici alle streghe, prima di congedarsi e tornane nelle viscere degli inferi" (Soave, 2019, p. 107).
Ovviamente la strega rappresenta anche la madre temuta e odiata, che osteggia i desideri della figlia e ne amputa la sua femminilità (per approfondimenti...): le streghe infatti erano accusate di rendere sterili le donne, causare aborti, catturare i bambini per usarli nei loro intrugli magici. Jones (1931) ha sintetizzato le valenze simboliche della strega sottolineando, da una parte l'attività da parte del bambino nello scindere la figura della madre buona (fata) da quella cattiva (strega), dall'altra la sua intrinseca connotazione sessuale dai toni sprezzanti e seducenti tanto disturbante per la società. Motivo per cui l'iconografia delle streghe le ha quasi sempre rappresentate come vecchie megere dai capelli bianchi e i seni flaccidi o come belle e affascinanti giovani donne.
Rileggendo la storia della stregoneria con sguardo attento, emergono non solo il fanatismo degli inquisitori e l'ignoranza del popolo, ma anche un'insofferenza generalizzata nei confronti della diversità fisica, psichica e comportamentale, il disagio di fronte a calamitò naturali, come la grandine e le alluvioni, il terrore di fronte a morti inaspettate di adulti e bambini, il senso di frustrazione suscitato da malattie inspiegabili come la peste o altre epidemie. La stregoneria, in sostanza, fu il capro espiatorio a cui si vollero attribuire i mali che affliggevano la società. (Berti, 2010, p. 7)
Freaks
Sin dagli albori della storia è molto probabile che la nascita di bambini malformati fosse considerata come un segno di nefasti presagi divini, e quindi che tali neonati venissero uccisi o lasciati a morire dopo la nascita.
Definiti anche "fenomeni da baraccone" o "prodigi", i freaks (abbreviazione di freak of nature, "scherzo di natura") sono originariamente legati al mondo dei circhi e delle fiere, luoghi in cui si esibivano (o venivano esposti) uomini forzuti, nani, fratelli siamesi, ermafroditi, scheletri viventi, donne barbute... e tutti quegli esseri bizzarri e "anomali" che potevano stuzzicare l'attenzione del pubblico. Come dimostrano i romanzi di C. Dickens (La bottega dell'antiquario), di V. Hugo (Notre-Dame de Paris e L'uomo che ride) e di E.A Poe (Hop-Frog), nell'Ottocento l'interesse per i freaks show tocca il culmine (si pensi solo ai celebri spettacoli dell'imprenditore circense P.T. Barnum).
Se l'interesse ai freaks è rimasto così resistente nel corso dei secoli deriva senz'altro dal fatto che in questo caso il mostruoso esce dal regno dell'immaginario per fare irruzione in carne ed ossa nella realtà, come se i mostri di incubi ancestrali fossero d'improvviso materializzati. Il profondo potere perturbante del freak deriva infatti dalla confusione tra mito e fatti, ossia tra ciò che appartiene alla realtà e ciò che invece solitamente appartiene al luogo della fantasia: "l'autentico freak suscita sia un terrore soprannaturale, sia una naturale simpatia, perché, a differenza dei mostri mitologici, è uno di noi, un figlio umano di genitori umani, trasformato però da forze che noi non comprendiamo bene in qualcosa di mitico e di misterioso come non lo è mai un semplice storpio" (Fiedler, 1979, p. 20).
In altri termini, il freak riporta l'uomo indietro nell'infanzia, dove i confini tra realtà, sogni e fantasia erano assai sfumati: i racconti fantastici del Mago di Oz di F. Baum, di Peter Pan di J. Barrie, di Alice nel paese delle meraviglie di L. Carrol, de I viaggi di Gulliver di J. Swift non fanno che descrivere la confusione del bambino nel considerare ciò che è reale e ciò che invece proviene dalla propria fantasia. Soprattutto in relazione alle sue paure primordiali, a cominciare dall'impatto delle proporzioni (il bambino si sente come un nano dinanzi all'adulto), dalle distinzioni sessuali annesse con l'angoscia di castrazione (l'ermafrodito, l'androgino, il travestito), dalla separazione tra uomo e animale (il geek, l'uomo bestia ritornato allo stato brado), dalle convinzioni circa l'unicità della propria identità (il gemello, il siamese, i parassiti). Il freak mette in crisi il mondo formale e strutturato che il bambino cerca faticosamente di costruirsi, continuando a turbare in modo perturbante (Freud, 1919) anche l'adulto una volta in cui egli si ritrova ad avere a che fare con questi timori ancestrali. Ecco perché il pubblico manifesta un certo interesse nel vedere i freaks: per trasformare il proprio intimo e profondo sgomento in una risata difensiva atta a mantenere netta l'illusoria distinzione tra spettatore e oggetto esposto.
Conclusioni
Sicuramente, come dimostrato dalle malformazioni genetiche della biologia e dall'impatto con le popolazioni indigene da parte dei primi esploratori europei, la realtà è stata essa stessa fonte per la nascita del mostruoso, ma le infinite e variopinte rappresentazioni del mostruoso non possono che essere scaturite dalla fantasia umana e la sua necessità di generare mostri. Essi infatti, che si trovino in continenti inesplorati, nella magia dei boschi, nelle profondità marine o sotterranee, o nei più lontani spazi siderali, permettono all'uomo di raggiungere psichicamente quell'Altrove attraverso l'immaginazione, per incontrare ciò che egli considera come la parte più spaventosa e inquietante di sé stesso. Perché nel mostro ricadono forze segrete e oscure, più o meno malvagie e pericolose, dietro le quali si nasconde un potere inquietante, lontanissimo dalle leggi che governano la ragione.
Freud (1919) infatti sosteneva che proprio ciò che noto, familiare (Heimliche) una volta in cui diventa escluso (rimosso), si trasforma nel suo contrario (Unmheimeliche), divenendo fonte d'angoscia, perturbante. In particolare modo, a diventare particolarmente perturbante è tutto ciò che appartiene al regno dell'irrazionale e dell'onirico (i mostri dell'infanzia), una volta in cui improvvisamente fa irruzione nel mondo della realtà, rendendo spaventosamente labili i confini tra ciò che è possibile e ciò che appartiene solo alla fantasia. Similmente Rank (1914) nel suo lavoro sul doppio (il Doppelgänger) ha sottolineato come esso rappresenti quella parte di sé scissa che si contrappone all'Io cosciente in maniera persecutoria (spesso nella letteratura essa si fa avanti attraverso lo specchio) e che, nell'impossibilità di integrarla con il resto della personalità, porta l'individuo a morte certa. Kristeva (1980) parla invece dell'abiezione come quel moto di rigetto verso qualcosa di "immorale, tenebroso, losco, torbido" (p.6) da cui però non ci si riesce mai a separare (e quindi a proteggersi) mai del tutto, continuando a a rappresentare per il soggetto un perpetuo pericolo.
Si può quindi sostenere che buona parte della lotta secolare che l'umanità ha compiuto contro queste figure, mostruose, foriere del male e del caos, non sia altro che l'eterna battaglia dell'uomo con gli aspetti mostruosi del proprio inconscio. Ma, come insegnano bene le fiabe (von Franz, 1979), è proprio attraverso questo processo di personificazione dell'impensabile e dell'inaccettabile in rappresentazioni e narrazioni, che allora diventa possibile per l'uomo famigliarizzare con quelle ombre mostruose dell'inconscio che egli cerca continuamente di liberare da sé, ma che in realtà rimangono parte intrinseca della suo patrimonio genetico (per approfondimenti...). E, come insegna la psicologia junghiana, maggiore è la distanza che l'Io mantiene con l'Ombra, maggiori e più spaventosi saranno i mostri con cui la persona dovrà fare i conti fuori di sé (come nemico da combattere) e dentro di sé (come psicopatologia).
La gente ha bisogno di un mostro in cui credere. Un nemico vero e orribile. Un demone in contrasto col quale definire la propria identità. Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi. (C. Palahniuk)
Bibliografia
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Suggerimenti filmografici
Alien (1979), di R. Scott
Chi ha paura delle streghe? (1990), di N. Roeg
Dr. Jekyll e Mr. Hyde (1941), di V. Fleming
Dracula di Bram Stoker (1992), di F.F. Coppola
Edward mani di forbice (1990), di T. Burton
Fog (1980), di J. Carpenter
Frankenstein (1931), di J. Whale
Freaks (1932), di T. Browning
Gli uccelli (1963), di A. Hitchcock
I diavoli (1971), di K. Russel
Il labirinto del fauno (2006), di G. del Toro
Il fantasma dell'Opera (1925), di R. Julian
Il meraviglioso mago di Oz (1939), di V. Fleming
Il ritratto di Dorian Gray (1945), di A. Lewin
Intervista col vampiro (1994), di N. Jordan
Kwaidan (1964), di M. Kobayashi
La bella e la bestia (1946), di J. Cocteau
L'esorcista (1973), di W. Friedkin
L'inquilino del terzo piano (1976), di R. Polanski
L'invasione degli ultracorpi (1956), di D. Siegel
L'ululato (1981), di J. Dante
L'uomo che ride (1928), di T. Browning
La cosa (1982), di J. Carpenter
La forma dell'acqua (2017), di G. del Toro
Nightmare Alley (2021), Di G. del Toro
Nosferatu (1922), di F.W. Murnau
Notre Dame (1939), di W. Dieterle
Rosemary's Baby (1968), di R. Polanski
Satyricon (1969), di F. Fellini
Suspiria (1977), di D. Argento
Shining (1980), di S. Kubrick
Strade perdute (1997), di D. Lynch
The Elephant Man (1980), di D. Lynch
The Others (2001), di A. Amenàbar
The Witch (2015), di R. Eggers
Vampyr (1932), di C.T. Dreyer
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