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Dott. Stefano Andreoli

Brevi riflessioni su "Povere Creature" di Y. Lanthimos (2023).

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Povere creature, di Lanthimos (2023)
Che cosa accadrebbe se tutto d'un tratto un adulto cominciasse a vedere il mondo con gli stessi occhi e con lo stesso atteggiamento di un bambino? Come sarebbe il ritratto di un uomo, anzi, di una donna nella fattispecie, spogliata di ogni sovrastruttura socioculturale, al pari di un "selvaggio" che improvvisamente si trova gettato nella "buona società"? E come si adatterebbe e si svilupperebbe nel nuovo e intrigante ambiente, questa donna-bambino? Ossia, in altri termini, quale sarebbe il suo viaggio di formazione (Bildung)?

Sono questi i principali interrogativi che si propone di illustrare (letteralmente!) questo film pluripremiato, oltre che per i suoi bravissimi attori, proprio per la scenografia, i costumi e il trucco, rendendone la visione una vera e propria delizia suggestiva ed evocativa. Come ogni buona pellicola che si rispetti, la fonte è letteraria (il poliedrico e creativo Alasdair Gray), e l'impasto di generi che racchiude è pari solo ai molteplici richiami letterari e cinematografici di questa vera e propria pastiche: l'ovvio Frankenstein come gli altrettanto evidenti Alice nel Paese delle Meraviglie e Lolita per quanto riguarda le citazioni letterarie, e rimandi a F. Truffault (Il ragazzo selvaggio, 1970), allo stile dark di T. Burton e al carattere ironico-assurdo di T. Gilliam.


Come evidenziato da diversi critici, Bella rappresenta quasi totalmente puro Es, in cui desideri, emozioni e pulsioni si alternano freneticamente come in un lungo viaggio dentro ad un sogno fatto per l'appunto di "zucchero e violenza". E neppure quando gradualmente vediamo apparire nella protagonista la coscienza (l'Io, le sue capacità critiche e i suoi meccanismi difensivi più elaborati), lo sviluppo dei processi secondari (i lobi prefrontali) e un apparato morale (il Super-Io), sembra mai cessare la potenza del processo primario.

L'intera struttura filmica sembra accompagnare come un contrappunto le vicissitudini emotive della protagonista: l'atmosfera iniziale di una Londra gotica e steampunk, le creature del dottor Frankenstein che sfoggiano tutta la loro geniale mostruosità in contrasto con i bellissimi vestiti di Bella, il bianco e nero da cinema muto alternato ai grandangoli esagerati impregnati di colori vividi e saturati fino al kitsch, i capitoli illustrati da pittoreschi fotogrammi che fungono da "intermezzi" come nel primo cinema avanguardistico... scene scandite non da una colonna sonora lineare e ricorrente ma da sonorità elettroniche, ritmiche e ipnotiche.


E' un film di straordinaria intensità artistica, ma credo che nel suo intento politico e provocatorio rischi, a tratti, di ottenere l'effetto contrario, proprio come accade dinanzi all'esasperazione odierna di una certa idea di libertà, intesa come cieca rincorsa al desiderio, assenza di qualsiasi rimorso, concezione positivistica del mondo ed emancipazione assoluta dal bisogno dell'altro. La stessa scelta registica di utilizzare l'epoca vittoriana dei tabù sessuali e del maschilismo borghese come scenario per criticare le ipocrisie e gli orrori della società contemporanea, personalmente la trovo alquanto anacronistica (già iniziava a vestire stretta gli anni '90 quando è uscito il testo letterario originale, figuriamoci oggi). Il film sembra utilizzare l'espansione dell'Io stesso (il narcisismo) come cartina tornasole dell'evoluzione dell'individuo ("l'obiettivo è evolvere", sottolinea più volte la protagonista), piuttosto che la sua capacità di amare e la qualità trasformativa intrinseca di Eros. L'amore viene sì mostrato in tutte le sue declinazioni, ma le forme perverse vengono senz'altro privilegiate sotto lo sguardo circoscritto dei vari personaggi (le lenti deformanti dei fish-eye che di volta in volta sembrano voler imprigionare l'oggetto del desiderio), lasciando alla tenerezza giusto lo spazio di un' amichevole effusione saffica (la compagna socialista di bordello) e dell'impotenza sessuale del padre-eunuco. Per tutta la pellicola Bella non fa che dare sfogo alla propria libidine esibizionistica tra un "furioso sobbalzo" e l'altro, eppure continua a rimanere vergine fino alla fine, proprio come venivano definite vergini le prostitute sacre della Grecia antica, le vestali, donne appartenenti a nessun altro se non a sé stesse (nemmeno sull'altare Bella decide di concedersi in moglie al pio marito).



La via verso la genitalità sembra quasi presa alla lettera, piuttosto che in senso simbolico: "la clitoride" (non sia mai utilizzare un articolo maschile in questa apologia femminista) diventa l'ennesimo oggetto parziale (il fallo) che permette alla protagonista di elevarsi e farsi strada tra le varie esperienze. L'onnipotenza di farsi uguale a Dio (il dottor God che non poteva essere interpretato da altri se non da Defoe - vd. The Lightouse di R. Eggers, 2019), sembra ripetersi di generazione in generazione, dato che anche Bella, al termine del suo percorso, decide anch'ella di diventare medico chirurgo (e anche qui il rimando al clitoride-bisturi è fin troppo facile), lasciando intendere che l'allieva non si discosterà troppo dalle orme paterne (vedi l'uomo-capra della scena finale).

Il corpo infatti sembra essere il vero protagonista del film e lo strumento di comprensione del mondo, proprio come accade nel bambino con le sue zone erogene mentre è intento ad esplorare (empiricamente!) l'ambiente attorno a sé. Corpi però che assomigliano più a cose (things) da utilizzare come feticci o pezzi da dissezionare e riassemblare in creature mostruose degne della peggiore hybris. Perché nell'algida prospettiva scientifica non ci può essere spazio per i sentimenti.


Il film sembra solo suggerire questa mancanza attraverso piccoli indizi sparsi qua e là, che durano il tempo di una breve scena, di una singola battuta (come il dottor Godwin che, sul punto di morte, commenta così l'inedita emozione nascente: "è davvero molto interessante... quello che mi succede"). Nemmeno la lieta conclusione da quadretto familiare felice sembra sciogliere nello spettatore il senso generale di amarezza e di squallore accumulati nel corso della narrazione. Bella sembra essere uscita vincitrice da un vero e proprio processo d'individuazione di stampo junghiano, emblema dell'autoformazione e d'indipendenza assoluta. Ormai è una donna fatta. Eppure il finale dell'ultimo atto non è riuscito ad addolcire l'intenso sentimento che pervade l'intera pellicola: la nostalgia verso la madre (o il caregiver, come si suole dire oggi), dalla quale, non a caso sostengono alcuni etologi, proviene originariamente ogni moto d'amore. A cominciare dal povero scienziato-pazzo brutalmente seviziato e deturpato dal proprio padre "in nome della scienza!", seguendo l'attempata maitresse che, in qualità di Virgilio femminile, sembra uscita da un circo di freaks, finendo con la stessa protagonista, che decide di assassinare la propria maternità suicidandosi da gravida. Insomma, i personaggi che si susseguono durante le varie vicende sono per davvero povere creature disgraziate!


Infatti giova ricordare che nell'opera originaria, la scelta del titolo finale appare come un compromesso tra le altre due opzioni che Gray aveva pensato: l'altisonante "Vita e misteri della prima donna medico d'Inghilterra" e il pietistico "Poveracci!". Nell'opera letteraria la stessa Bella dichiara alla fine che la storia è frutto del parto fantastico e bislacco del suo pigro e ozioso marito, come a suggerire di ridimensionare in fin dei conti il valore dell'intera narrativa. Ossia, in altri termini, l'autore, con la solita ironia salace che lo caratterizza, denuncia deliberatamente sé stesso, applicando per quel panorama umano sgangherato così poco distante da sé (e da noi), compassione e clemenza ben più marcate di quanto non traspaia dall'adattamento cinematografico (scelta motivata probabilmente dalla simpatia verso temi odierni quali l'individuazione della donna nella società, l'uso smodato della tecnica, l'integrazione del diverso, ecc.). Comunque, un film elaborato, stravagante, peculiare e perturbante che dialoga fin troppo esplicitamente con l'inconscio dello spettatore, e quindi da non lasciarsi assolutamente perdere.

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