top of page

Breve analisi del film "Le otto montagne" (2022), di F. Van Groeningen e C. Vandermeersch

Versione PDF stampabile:

scena dal film Le otto montagne
Non pensavo di trovare un amico come Bruno nella vita, né che l'amicizia fosse un luogo dove metti le tue radici e che resta ad aspettarti.

Era dai tempi di Into the wild (2007) di S. Penn e de I diari della motocicletta (2004) di W. Salles, che forse non si vedeva sul grande schermo una pellicola che fosse in grado di condensare così intensamente la nostalgia di una natura primigenia selvaggia, fonte d'ispirazione per una società diversa attraverso la nobiltà e l'idealità della montagna, coi suoi codici rigidi e con quell'infinita bellezza pari solo al grado della sua spietata e feroce fatica nel viverci. Una montagna che emerge in maniera molto simile a quella descritta da Mario Rigoni Stern, quel grande scrittore che ci ha lasciato una testimonianza unica della vita in montagna raccontandone poesia e contraddizioni. In altri termini, l'Inno ad una Natura che non si confina a concezione idilliaca da cartolina, atta a masturbare l'immaginazione del cittadino alienato, ma che va vissuta nella sua interezza: "solo voi di città la chiamate natura. Perché è così astratta nella vostra mente che è astratto anche il nome. Qua diciamo boschi, pascoli, fiumi, capre, sentieri. Cose che si possono indicare col dito, cose che si possono usare" (dice Bruno agli amici di Pietro saliti dalla città per conoscere la montagna).


Tutto il film ruota attorno a Pietro (Luca Marinelli) e Bruno (Alessandro Borghi), la coppia di amici che interagisce come un gioco di contrappunti irrequieti di una medesima melodia che ha come tema la montagna, il cronotopo di tutta la storia. Uno, cittadino da famiglia torinese benestante, che rinnega la vita del padre inghiottito nella realtà frenetica e capitalistica della città, per ritrovare sé stesso nel lontano Nepal e nella sua vocazione da scrittore, l'altro, montanaro cresciuto con gli zii malgari in un contesto povero, che dopo avere tentato di realizzare il sogno di costruire famiglia e diventare lui stesso malgaro, farà della montagna stessa la propria tomba. Uno perennemente in moto, dionisiaco, e l'altro totalmente immobile al centro, apollineo, come nel racconto del vecchio nepalese sulle otto montagne e il grande monte al centro, che Pietro riporta come esempio a Bruno tra i fumi della grappa e il vento sferzante mentre fa tremare la lampada a petrolio. Similmente alle sorti tanto vicine quanto distanti, per non dire complementari, di Narciso e Boccadoro, i protagonisti del romanzo di formazione dal titolo omonimo di H. Hesse.


Tra le varie letture che questo film suggerisce, a mio avviso la montagna indica simbolicamente la figura del padre come tema fondamentale dell'intera narrazione. E' solo infatti attraverso la montagna che Pietro riesce a ritrovare quel padre dolce e amorevole che la città non gli aveva permesso di conoscere: nei taccuini degli escursionisti nascosti sotto le pietre delle cime, Pietro infatti scopre il suo lascito affettivo. Bruno invece, fallimentare nel tentativo di diventare egli stesso padre, finisce per stringersi fatalmente alle proprie montagne, diventando egli stesso come il padre che ha abbandonato il proprio figlio (come gli ricorda Pietro durante un momento litigioso di intollerabile verità). Perché in Bruno si avverte costantemente l'intensissima nostalgia della tenerezza e di tutto un alfabeto emotivo assenti come la madre che non ha avuto, come se in fondo la montagna stessa, con le sue fatiche e le sue rinunce, rappresentasse l'unico genitore putativo da cui trarre una possibile fonte d'identificazione ("a un certo punto uno deve fermarsi e capire cosa è capace di fare e cosa non è capace di fare. Io sono capace di vivere da solo in montagna. Non è poco, no?"). Se cioè la ricongiunzione di Pietro col padre amato ricorda da vicino il finale di La gatta sul tetto che scotta (1958) R. Brooks, senz'altro la fine di Bruno rimanda al destino del protagonista di Nightmare Alley - La fiera delle illusioni (2021) di G. del Toro (per approfondimenti...).

D'altronde, la profonda amicizia che lega i protagonisti anche agli antipodi del globo (Pietro che dal Nepal ritorna da Bruno dopo la separazione con la compagna) impregnando ogni scena del film a cominciare dalla fratellanza iniziale durante la fanciullezza dei due, non fa che ricordare l'amore omoerotico che sta alla base del legame tra padre e figlio. Nella sublimazione che è propria dell'amicizia, più che nel senso letterale e sessualizzato di un'omosessualità latente che irrompe d'improvviso, come accade tra i protagonisti de I segreti di Brokeback Mountain (2005) di A. Lee.



E su questa linea, il film, come la psicoanalisi, non fa che ricordare come sia proprio attraverso la figura del padre (e la buona introiezione dei suoi aspetti da parte del figlio maschio), che è possibile per l'Io strutturarsi e avere una bussola interiore per potersi orientare nel mondo: "è assurdo come ognuno trovi il proprio posto nel mondo nelle maniere meno imprevedibili di quanto creda", dice Pietro all'amico Bruno alludendo a quanto della propria infanzia egli abbia ritrovato nella vita adulta. Nella bellissima scena in cui Pietro e Bruno bambini sono in cordata come fratelli a scalare un ghiacciaio (tra amorevolezza e rivalità per la conquista dell'ammirazione paterna), è infatti di nuovo il Padre ad offrire loro un modello di coraggio, di conoscenza, di umanità. Non a caso Freud, ne Il disagio della civiltà (1929) scriveva: "non saprei indicare un bisogno infantile di intensità pari al bisogno che i bambini hanno di essere protetti dal padre". Solo rifacendo i conti con il fantasma paterno Pietro riesce a ritrovare se stesso da uomo incompiuto e irrealizzato, incapace di costruire un progetto di vita solido e duraturo. Mentre la morte di Bruno che in realtà è un suicidio (come confessa anche la narrazione di Pietro), è figlia della nostalgia ardente di un padre che può ritrovare pace solo attraverso la fusione letterale, concreta delle spoglie di Bruno con il suolo della montagna (la sepoltura celeste: il cadavere esposto ad Urano, la divinità paterna per eccellenza).


Il Padre-Montagna cioè come catalizzatore di trascendenza, coltivatore dello Spirito, contenitore del Super-Io, rifugio da un mondo allo sbaraglio, dove nella vita frenetica della città gremita di infinite distrazioni superflue (per approfondimenti...), si finisce poi per perdere le cose essenziali dell'esistenza: “mi sembrava di essermi perso le cose più importanti. Volevo trasformarmi, evolvere, partire” afferma Pietro. Ma anche un Padre che, al pari della montagna stessa, rischia di uccidere diventando un cappio claustrofobico quando non permette al figlio di trovare la propria strada personale (come il padre di Pietro) o quando si stringe come tradizione arroccata e chiusa al resto del mondo: "guarda che c'è un mondo fuori da qui. Questo confine te lo sei inventato tu" dice Pietro all'amico Bruno. Comunque sia, si tratta sempre di un cammino verso l'individuazione del Sé adulto che inevitabilmente richiede l'attenzione del proprio passato per potere procedere in avanti, come quei ghiacciai che, come ricorda il padre di Pietro, conservano la memoria di secoli e dissetano gli escursionisti con la loro acqua. D'altronde, si può sostenere che la vera esposizione del nucleo centrale del film cominci nel momento in cui Pietro e Bruno iniziano a costruire la casa che Bruno aveva promesso di realizzare al padre di Pietro poco prima di morire. Ossia, in altri termini con l'affermarsi di un lutto che sancisce il momento in cui il figlio è chiamato a diventare egli stesso adulto, padre di sé stesso.


"Il ghiacciaio affascinava l'uomo di scienza che c'era in mio padre, gli ricordava i suoi studi di chimica e di fisica. La mitologia su cui si era formato. Ci disse che il ghiacciaio è la memoria degli inverni passati che la montagna custodisce per noi. Sopra una certa altezza ne trattiene il ricordo e se vogliamo sapere di un inverno lontano è lassù che dobbiamo andare."


Infine non è da dimenticare che, come accade nel mondo dei sogni, i due protagonisti non sono che la personificazione degli aspetti interiori del medesimo scrittore che ha partorito l'opera, Paolo Cognetti, il quale, a quanto riporta, ha sviluppato l'opera senza troppa fatica, come se l'intera storia fosse già stata scritta dentro di sé aspettando solo l'occasione propizia per uscire dalle sue mani. Nella persona dell'autore infatti, lo scrittore irrequieto che ha trovato un posto nella società e il montanaro outsider che trova la morte nella sua rigidità nostalgica senza compromessi, convivono sotto lo stesso tetto psichico, anche se con un certo conflitto non privo di intense sofferenze (nel 2024 Cognetti è stato sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio per un disturbo bipolare). Di nuovo, la dimostrazione di come sia quasi sempre dai conflitti profondi propri della psicopatologia che scaturiscono le perle più preziose del mondo dell'arte (per approfondimenti...).


"Mi chiesi chi l'aveva conosciuto oltre a me sulla terra e chi mi aveva conosciuto oltre a Bruno. Se era soltanto nostro quello che avevamo condiviso, che cosa ne restava adesso che uno dei due non c'era più? Poi mi venne in mente che c'era una casa lassù in montagna, con un buco del tetto. Questo non le dava molto da vivere. E sentivo che non serviva più a niente. Perché in certe vite esistono certe montagne in cui non è possibile tornare."

Comentarios


Tags

NEWSLETTER!

Per ricevere una mail ad ogni pubblicazione di un nuovo articolo.

Il Blog, che riceve migliaia di visualizzazioni giornaliere, contiene articoli coperti da diritti d'autore, ognuno dei quali proviene da mesi di scrupolose ed estese ricerche sul tema. Ciononostante si è scelto di divulgare tali studi in maniera completamente gratuita, senza la necessitò di affiliazioni obbligatorie ad istituzioni o riviste ed escludendo qualsiasi tipo di inserzione pubblicitaria. Si prega pertanto di fare buon uso di tale materiale, con l'augurio che tali contenuti possano rappresentare una fonte di stimolo per chiunque abbia interesse ad esplorare tutto ciò che riguarda quel curioso e misterioso fenomeno che è l'essere umano.

logo PSI

Psicologia, Psicoterapia e Psicoanalisi

Via A. Righi, 3 - Bologna

© 2015 Created by Dott. Stefano Andreoli - Psicologo Clinico, Psicoterapeuta, Psicoanalista - P.Iva: 03533310367

bottom of page