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Dott. Stefano Andreoli

Bizzarrie artistiche su tasti d'avorio


Erik Satie... pura energia della Parigi di fine '800. Rinomato bohèmien per la sua vita sregolata, anticipatore delle notti folli di Miller e ispiratore fondamentale di quella che sarà la nuova musica di Debussy. Sprezzante verso ogni forma di accademismo artistico, suonatore di bordelli, cabaret, balletti. Geniale quanto pazzo, ovviamente morto di cirrosi epatica tra le sue ossessioni, manie e idiosincrasie. Viveva in un piccolo bilocale a Montmartre, ove in una stanza dimoravano lui e il suo pianoforte, mentre nell'altra si racconta che vi fosse celato qualcosa di talmente segreto e misterioso da poter essere paragonato solo al temuto ritratto tenuto nascosto con tanto zelo dal Dorian Grey. Nessuno sapeva in realtà cosa Erik tenesse là dentro e nessuno era mai riuscito a metter piede in quella stanza perennemente chiusa a chiave. Solo una volta morto, quando sfondarono a calci la porta di quella stanza tanto inquietante, tutti rimasero esterrefatti nel scoprire al suo interno una vastissima, irriverente collezione di... ombrelli. Centinaia e centinaia di ombrelli nuovi. Mai usati.

Mistica, ammaliante, seducente musica intrisa di irresistibile nostalgia, come quella nebbia vellutata che ogni tanto ricopre magicamente le montagne e non permette più di distinguere la terra dal cielo...

 

Si dice che quando il grande Fats Waller si stesse esibendo sul palco, vedendolo entrare nel locale, si interruppe improvvisamente e, alzandosi in piedi, urlò al pubblico: "signori e signore, il Dio vivente del pianoforte é appena entrato!"

Un giovane Charlie Parker, l'eterno "Bird", appena arrivato a New York, scelse volutamente di lavorare nelle cucine dei locali dove "lui" suonava, per poterne ammirare tecnica e stile.

Il gigante del jazz Oscar Peterson dichiarò che quando ascoltó per radio il "suo" Tiger Rag reinterpretato, rimase talmente sconvolto (fermamente convinto che fossero due i pianisti all'esecuzione e non uno solo), che smise di suonare il piano per due mesi di seguito tanta era stata la frustrazione e il colpo alla propria autostima.

Duke Ellington scrisse nella propria autobiografia di non aver mai sentito nulla di simile nonostante tutti gli avessero già anticipato quanto "fosse terrificante il suo modo di suonare". Bud Powell, nonostante la fama e la memorabile abilità bebop, cercó sempre di evitare improvvisation contest con chi finì per diventare il proprio punto di riferimento stilistico. Eugeon Cicero (virtuosista moderno) ne riprese l'originale quanto criticatissima idea di riarrangiare i sacri pezzi della musica classica. Sergej Rachmaninoff, dopo averlo sentito suonare, disse che si trattava molto probabilmente del più grande pianista vivente (Horowitz, aggiunse dell'intera storia pianistica).

Si narra che soleva sbalordire la clientela del locale in cui pranzava, chiedendo di rovesciare una manciata di monete sul bancone di marmo, per indovinare col suo orecchio assoluto il numero e il taglio. Si dice inoltre che, essendo ambidestro, era solito sfidare altri pianisti ad eseguire un pezzo, per poi divertirsi a riprodurlo perfettamente a orecchio e a mani incrociate. Ma ciò che più é sbalorditivo, fu che, tranne per qualche corso liceale, per tutta la vita rimase sempre completamente autodidatta, oltre al fatto di essere totalmente cieco all'occhio sinistro e con qualche grado al destro che gli consentiva giusto di scorgere sagome e colori.

Quel pianista, forse il più grande improvvisatore che la storia del jazz abbia mai partorito, si chiamava Art Tatum. Oviamente morto alcolizzato all'età di 46 anni dopo una vita sregolata e irrequieta.



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