Come ha saputo descrivere molto bene C. Lasch ("La cultura del narcisismo", 1979), la nostra è la cultura dominata dal culto della celebrità, di cui l’immagine ideale prodotta dai media fomenta una ricerca spasmodica dell’essere visti, riconosciuti e ammirati ad ogni costo da un pubblico perennemente fantasticato. E’ la cultura del Sé narcisistico per antonomasia, in cui la necessità dell’altro che assolve la funzione simbolica dello specchio, diviene quasi conditio sine qua non per poter percepire se stessi e la propria identità, per quanto precaria e priva di contenuti personali nonostante la cura maniacale della forma. Le teorizzazioni di H. Kohut ("La guarigione del sé", 1977) sembrano descrivere perfettamente questo fenomeno attraverso due particolari tipi di transfert che si riscontrano nella relazione analitica: quello dello “specchio”, in cui il Sé grandioso recita per la madre nella speranza di riconquistarne l’approvazione e quindi una convalida empatica del sé; e quello “idealizzante” dove il Sé cerca di incorporare la figura parentale idealizzata per riconquistare la perfezione perduta.
Questa fissazione sul culto della celebrità risponde in ultima istanza all’angoscia onnipresente in ogni uomo, quella derivante dalla propria condizione mortale, da cui scaturisce ogni tentativo di concretizzazione del proprio desiderio d’immortalità. Lo stesso Freud ("L’avvenire di un’illusione", 1927) osservò come questa inevitabile certezza spinga l’uomo ad inventare diverse strategie di conquista dell’immortalità, prime fra tutte la nascita della religione e delle arti. Dunque la folla che idealizza e divinizza la celebrità di turno non fa che fornire un significato alla propria vita (cercando fuori le proiezioni di ciò che manca al suo interno), provando a scaldarsi dinanzi all’illusione della presenza investita d'immortalità. Lo stesso esistenzialismo ha sottolineato più volte come siano lo stesso terrore e sgomento per la mancanza di senso dell’esistenza a costituire il bisogno di un oggetto-Sé idealizzato (Kohut, "Narcisismo e analisi del sé", 1971) dal proprio ambiente: il desiderio alla base è che possa esistere qualcuno dotato di capacità e qualità straordinarie, perfette, quasi trascendenti, con poca se non nessuna “contaminazione” con l’imperfezione e la meschinità della realtà concreta.
Dunque l’idea della celebrità creata dalla società odierna non rappresenta altro che la nuova faccia di una figura archetipica esistente da sempre, quella dell’Eroe (Jung,"Gli Archetipi dell’Inconscio Collettivo", 1935), in grado di sollecitare la spinta individuale ad un eroismo che desidera continuamente emergere, essere unico e al centro dell’attenzione. Ad essere cambiati sono solo i criteri culturali di tale simbolo, ora dettati dall'influenza pressante e pervasiva dei media che ne hanno fatto una vera e propria ossessione contemporanea.
“Mai epoca fu come questa tanto favorevole ai narcisi e agli esibizionisti. Dove sono i santi? Dovremo accontentarci di morire in odore di pubblicità.” Ennio Flaiano