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Dott. Stefano Andreoli

La poesia, per tautologia, è russa: S.A.Esenin


Esenin, o come si piaceva far chiamare lui, "mosca delle bettole", nasce nel 1895 in un minuscolo villaggio rurale della Russia, da genitori contadini.Poeta della bellezza della Natura, perennemente ebbro di Vita (e di vino), assiduo frequentatore di bordelli, bisessuale con alle spalle 5 matrimoni, fu una persona estremamente sensibile e allo stesso tempo violenta, romantica e stravagante, con un'esistenza piena di eccessi (clamoroso fu l'episodio in cui vennero cacciati da un albergo perchè sua moglie si era messa a ballare completamente nuda al passo dei versi recitati dal poeta).


Gli ultimi due anni della sua vita sprofonda in una terribile disperazione senza fine. La dipendenza cronica dall'alcol cominicia a farsi sentire: iniziano le prima allucinazioni visive e i suoi comportamenti si fanno sempre più bizzarri e sregolati, fino al ricovero in un ospedale psichiatrico.



Dimesso per il giorno di Natale, il poeta viene trovato tre giorni dopo impiccato con una cinghia alle tubazioni dell'impianto di riscaldamento, con varie ferite al braccio sinistro, un profondo taglio al braccio destro e un grosso livido all'occhio sinistro. Deceduto tra la notte del 27 e il 28 dicembre del 1925, la mattina stessa del 27 aveva consegnato la sua ultima poesia scritta col suo stesso sangue ad un amico passato a trovarlo. Ancora oggi la sua morte è attorniata da un alone di mistero, in quanto non si esclude l'ipotesi che il suicidio sia stato tutta una montatura.


Fu proprio al termine di questi due anni terrificanti che Esenin scrisse le poesie più straordinarie e intense di tutta la sua esistenza, che durò solamente 30 anni.

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Confessioni di un teppista


Come una mela ai piedi degli altri. Non a tutti è dato cadere "Non tutti possono cantare,

Che possa fare un teppista. È questa la più grande confessione

La bolla dondolante dei capelli. Allora stringo solo con le mani più forte Di ruttante bufera. Mi volino addosso, come grandine Mi piace che i sassi dell’ingiura Lo spoglio autunno dell’anime vostre. Mi piace rischiarare nelle tenebre Col capo, come un lume a petrolio, sulle spalle. Vado a bella posa spettinato,

Scagliato contro me. Con le forche per ogni vostro grido Loro verrebbero a infilzarvi Che a primavera fa soffici i verdi. Come la pioggerella, Cui son caro, come un campo e la carne, Cui non importa di tutti i miei versi, Che ho un padre e una madre lontani, Lo stagno erboso e il fioco stormire dell’alno, M’è così dolce allora ricordare

E scarpe di vernice. Ora invece cammina in cilindro Nelle pozze autunnali? Quando coi piedi nudi si bagnava Per la sua vita, Non vi brinava sul cuore È il miglior poeta di Russia! Che vostro figlio Oh! poteste capire E le viscere palustri. E temete il Signore Siete certo imbruttiti, Poveri, poveri contadini!

Come lo strascico d’un abito nuziale. È pronto a reggere la coda a ogni cavallo, Dei campi natali, E ricrodando l’odore di letame Ed incontrando in piazza i vetturini Egli manda un saluto di lontano. Ad ogni mucca sulle insegne di macelleria Che ogni cosa vuol rimettere aposto. Del monello campagnolo, Ma vive ancora in lui l’antica foga

La sua corteccia è dura come allora? Con la sua cima verde? È sempre lo stesso, anche ora, Arrampicandomi sui suoi rami! Oh, quante uova rubavo ai nidi dei corvi, Al falò del tramonto. Si fosse accoccolato a riscaldarsi Il nostro acero pareva Delle serate umide d’aprile Sogno la bruma Dei ricordi d’infanzia, Sono teneramente malato Risonante dei rospi. E nella quiete notturna la voce Mi son cari i grifi imbrattati dei maiali Rugginosa mestizia. Anche se copre i suoi salici Amo molto la patria! Amo la patria,

L’uno all’altro. Senza lasciar cadere una briciola Lo mordevo insieme uno alla volta, Quando, rubato alla mamma un cantuccio di pane, Oh, come mi son care quelle birichinate, Dove sia la porta e la stalla. Senza più riconoscere al fiuto Trascinando la coda penzolante, Ed erri nel cortile, Per la vecchiaia ora sei stridulo e cieco Fedele cane pezzato?! E tu, mio prediletto,

Dalla finestra mia contro la luna. Quest’oggi ho tanta voglia di pisciare La falce del tramonto. Più non tintinna nell’erba del crepuscolo A voi tutti buona notte! Buona notte! Ho voglia di dirvi una tenera parola. Stendendo stuoie dorate di versi, Gli occhi fioriscono nel volto. Come fiordalisi nelle segale, Nel mio cuore non sono mutato. Io non sono mutato.

Si effonde in vino di capelli ribelli. La mia testa, come un agosto, A decantare e celebrare i topi. Son venuto come un servo maestro Ho forse bisogno del tuo morbido trotto? Vecchio, buon Pegaso spossato, Che si è agganciato al sedere un fanale! Se ho l’aspetto d’un cinico Non duole. Ebbene, che importa In quest’azzurro perfino morire Luce azzurra, luce sì azzurra!

Per il paese verso cui navighiamo." Ho voglia d’essere una gialla vela

Sergej Aleksandrovič Esenin

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