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Dott. Stefano Andreoli

La psicoanalisi è morta? Tutt’altro: mai stata più viva e necessaria.


Che fine ha fatto la psicoanalisi?


E' risaputo oramai, come ricordava già Fromm, che questa società neoliberista governata dalle forze del capitale e dalla "razionalità strumentale", incoraggia la produttività a scapito dell'introspezione personale, spinge verso l'ottenimento di risultati immediati al costo più basso possibile e nel minor tempo spendibile, sostiene una cultura del pragmatismo in cui la soggettività deve lottare contro l'omologazione e il conformismo. A tutto ciò l'atteggiamento della psicoanalisi si pone decisamente in netta antitesi, si puo' dire in modo sovversivo.


Inoltre i grossi tagli alla Sanità sempre più orientata alla massima economia nei trattamenti terapeutici, la crescente espansione della psichiatria che privilegia essenzialmente il farmaco come metodo di cura, le panacee sponsorizzate dall'enorme potenza delle multinazionali farmaceutiche, il predominio di un approccio orientato alla realtà immediata delle psicologie cognitive-comportamentali o dei trattamenti "manualizzati" (oggi tanto popolari sul mercato), hanno creato un contesto sfavorevole per la sopravvivenza della psicoanalisi. Senza contare la diffusione spudorata di counselor, coacher e ogni sorta d figura pseudoprofessionale, trasformati in mercanti di benessere, dispensatori di felicità, magici guaritori attraverso pacchetti online sul web.


L'idea che si è diffusa è che la psicoanalisi sia diventata antiquata, anacronistica, secondaria rispetto a tutti quei trattamenti sostenuti empiricamente, evidence-based.


A tutti questi aspetti si aggiungono anche motivazioni intrinseche, come il fatto che in passato la psicoanalisi - e qui sbagliando - non si è mai "commercializzata" in modo convincente al pubblico, e non si è mai troppo interessata a costruire una propria letteratura empirica ben organizzata, sempre troppo preoccupata di difendere la propria "purezza" e di evitare - ancora sbagliando - ogni contaminazione esterna dalle altre discipline.


Inoltre lo sviluppo di vari "dialetti" interni e la crescita di un pluralismo di prospettive, spesso hanno prodotto solo chiusi settarismi e frammentazioni intestine, indebolendo così il movimento psicoanalitico nel suo complesso invece che fortificarlo.



E come mai è (quasi) scomparsa nelle università?


Perchè oramai si sa, l'epistemologia della psicoanalisi non è uguale a quella delle scienze esatte, alle scienze positiviste, alla biologia e ai suoi stretti derivati come il comportamentismo. Essa ha sempre posseduto un proprio paradigma scientifico e propri strumenti di valutazione e di validazione. Anche se poi paradossalmente le neuroscienze, a cui oggi si ripone molta - fin troppa - speranza, sembrano confermare sempre più le scoperte psicoanalitiche che in fin dei conti danno alla neurobiologia più di quanto non faccia il contrario.


Per quanto si voglia inquadrarla, il trattamento psicoanalitico non puo' essere vagliato e verificato con la limitata ricerca sul risultato (l'outcome research), soprattutto quando i risultati di processo hanno fornito evidenze empiriche sull'efficacia della psicoanalisi, soprattutto nel lungo termine. Fromm - a mio avviso giustamente - ha definito la psicoanalisi un’arte, ancor prima di una scienza.


Ma a cosa serve la psicoanalisi? E in che cosa si differenzia dalle altre psicoterapie?


E' lo stesso Gabbard a ricordarcelo:


“La psicoanalisi è basata sulla ricerca della verità, non importa quanto soggettiva possa essere. Siamo tutti maestri dell'autoinganno. La psicoanalisi ci insegna quanto ci nascondiamo a noi stessi per evitare di sapere chi siamo. Svelare questo autoinganno e le difese che lo permettono è un compito che va portato avanti in modo lento, doloroso e metodico."


La psicoanalisi rivoluziona la funzione dello specialista privandolo della sua funzione prescrittiva, esalta la parola "liberamente fluttuante" puntando alla conoscenza, amplia le dimensioni del Sè acquisendo prospettive prima ignote, o come afferma Ogden, "fondamentalmente implica aiutarlo [il paziente] a rimanere se stesso mentre cerca di diventare ancora più se stesso".


Si puo' dire - speculandosu una distinzione apparente solo in linea teorica - che la psicoanalisi possieda in nuce una duplice funzione, ossia un obiettivo analitico più conoscitivo-esistenziale e uno più terapeutico destinato alla riduzione del malessere e della sintomatologia del paziente, anche se, come ricorda Bromberg, "la cura e la crescita avvengono come processo unitario".


La psicoanalisi ha sempre cercato di preservare l'attenzione alla crescita personale, invece che la mera rimozione del sintomo (come se le due cose potessero venir scisse), attraverso un processo che alterna l’analisi dei fenomeni psichici e la la sintesi (terapeutica) in cui il paziente può ricomporre consciamente il materiale analizzato.


L’essenza risiede nella centralità del funzionamento inconscio della vita psichica, che rappresenta in pratica il linguaggio privilegiato con cui lavorare in analisi: il sintomo si inquadra come la manifestazione, l'epifenomeno di qualcosa di non facilmente accessibile, scrupolosamente protetto da efficaci meccanismi di difesa. La psicoanalisi ha il merito di dare spazio e fare luce sulla parte più oscura dell'uomo, nel tentativo di toccare l'intima profondità che per tautologia, è sempre ignota, sconosciuta.


La psicoanalisi possiede una propria identità che conta di evoluzioni teoriche maturate e perfezionate durante oltre un secolo di storia, e costituita da metodologie specifiche che rappresentano la tecnica psicoanalitica, ossia la vera impalcatura della psicoanalisi. Se la psicoterapia è un procedimento più specifico e pragmatico, focalizzato sulla risoluzione dei sintomi e dei comportamenti disadattivi e disfunzionali del paziente, la psicoanalisi di fatto è un processo più esteso e aperto, tendenzialmente infinito (anche se finisce poi in comune d'accordo, quando l'analizzando diventa in grado di proseguire da solo). Continua quindi ad esistere una differenza - seppur non più così netta - tra chi si reca in terapia per la risoluzione di un sintomo e chi invece ha intenzione di ottenere risultati trasformativi, come un cambiamento strutturale della personalità.


Non sarebbe un'audacia ammettere che tutte le altre psicoterapie sono alterazioni, simulacri o addirittura brutte copie della psicoanalisi, quando presentano le proprie scoperte come una sostituzione del bagaglio teorico precedente, invece che sole aggiunte.


Conscia o no, ogni psicoterapia affonda le proprie radici nella psicoanalisi.


Come specifica Modena


"fu effettivamente lo stesso Freud a sostenere la tesi che la psicoanalisi in quanto terapia non era nè meglio nè peggio di altri approcci. Lui la consigliava invece per il suo contenuto di verità, cioè per la ricerca della verità individuale del soggetto. In questa chiave la psicoanalisi rimane tutt'ora la via regia per aumentare la comprensione di se stessi ricostruendo la propria storia dalla prima infanzia fino all'età adulta."



Ma in concreto, chi è lo psicoanalista?


Uno psicoanalista è sempre uno psicoterapeuta. Ma non è vero il contrario.


Il training psicoanalitico (tenuto presso le scuole di specializzazione post lauream per medici e psicologi) possiede precise regole e obblighi nella formazione degli allievi e in sostanza è ciò che discrimina fortemente l'identità di un psicoanalista. Attualmente, escludendo gli orientamenti che si sono distanziati in buona parte dalla psicoanalisi originaria, come ad esempio l'approccio junghiano ("psicologia analitica"), adleriano ("psicologia individuale"), lacaniano ("psicanalisi"), gli enti mondiali a rilasciare il titolo di "psicoanalista" sono l'IPA (la storica associazione fondata da Freud stesso, tendenzialmente più ortodossa e tradizionale) e l'IFPS (fondata da Fromm, definita a volte "neofreudiana", più elastica, aperta e multidisciplinare).


Oggi più che mai queste scuole di specializzazione hanno subito una forte crisi nel reclutamento di nuovi allievi, e il motivo non é molto difficile da individuare. Questi istituti richiedono un impegno esorbitante di tempo (difficilmente meno di 5 anni post laurea), di energie (difficilmente si potrà svolgere parallelamente un lavoro a tempio pieno) e di risorse economiche (si parla di almeno 12000€ annui). Oltre ovviamente il segno di riconoscimento dell’analista:l'obbligo di un lungo e intenso percorso di analisi personale della durata di tutto il training psicoanalitico (che dovrebbe rappresentare assolutamente una conditio sine qua non di tutte le scuole di specializzazione riconosciute dal MIUR, e non un aspetto arbitrario e secondario che, riducendo l'impatto economico, diventa così una strategia per accaparrarsi più allievi). E infine l’obbligo di molte ore di supervisioni individuali, supervisioni di gruppo su casi clinici, lezioni teoriche, seminari didattici, laboratori esperienziali, elaborati scritti...


Queste istituzioni postulano - a parer mio, giustamente - una dedizione quasi totale che difficilmente puo' essere alla portata di tutti gli aspiranti terapeuti.


Inoltre è comunque importante sottolineare sempre che la psicoanalisi è una professione che esige una formazione che dura tutta la vita: analisi personale - che a scopo conoscitivo non ha mai fine - e una continua formazione didattica. Inoltre molto spesso accade che lo stesso professionista continui a sottoporsi a supervisione individuale, in modo da garantire al paziente una corretta prassi analitica, e quindi la massima efficacia del trattamento psicoterapico.


Quali sono gli sviluppi della psicoanalisi ai giorni nostri?


Ciò che continua ad impressionare - e a procurare scandalo - ancora oggi è che la psicoanalisi sia il frutto di un uomo solo, ovviamente il vecchio S. Freud, le cui teorizzazioni e intuizioni, che in larga misura hanno conservato piena validità, sono state da sempre il termine di confronto con cui ogni autore successivo ha dovuto fare i conti. Un'affermazione che tanto scontata non è, visto che alcuni degli eredi odierni che rivendicano le proprie scoperte, sembrano non tener più conto di ciò che è già stato scritto e accuratamente spiegato tanti anni fa. La solita storia del vino nuovo in botti stra-vecchie.


Ma la grande svolta, forse il vero Rinascimento odierno della psicoanalisi, l'ha fornita la corrente relazionale come la intendiamo oggi, di cui Fromm, e la Horney furono i pionieri: ufficialmente ampliata in America da Mitchell e colleghi (Aron, Greenberg, Bromberg per citarne alcuni), presto coinvolse anche gli intersoggettivi (Stolorow e Atwood), gli interpersonali (a cominciare da Sullivan, eppoi Stern), in parte gli psicologi del Sè, e personalità del calibro di Ogden, Slavin, Lichtenberg.


Le caratteristiche chiave sono: il rilievo alla soggettività dell'analista (aspetti del controtransfert) come elemento di influenza e di conoscenza nel processo terapeutico, il ruolo dell'analista da "osservatore oggettivo" a "osservatore partecipe", un setting basato sulla relazione vis-a-vis e non più sull'asimmetria regressiva e obbligata del "lettino", l'attenzione sul qui-e-ora per un processo terapeutico più creativo e costruito col paziente, una comprensione dell'individuo più estesa all'interno della sua cornice socioculturale, maggior flessibilità sul trattamento (che ora prevede costi più contenuti e non più l'insostenibile frequenza di 3-4 sedute settimanali!), l'inclusione dell'inconscio dell'analista nella formazione del transfert del paziente, l'enfasi sulle emozioni e gli stati d'animo per permettere al paziente di accedere al proprio mondo interiore...


Concetti già espressi e portati avanti da Ferenczi (diretto allievo di Freud), ma allora senza una costruzione vera e propria di nuovi modelli o teorizzazioni strutturate.


Insomma la matrice relazionale in psicoanalisi ha portato una ventagliata d'aria fresca che ha smontato - finalmente! - l'immagine fredda, distaccata e asettica degli analisti freudiani ortodossi (che paradossalmente avevano completamente irrigidito e deformato gli "insegnamenti" d Freud), avvicinandosi sempre più a tutte le nuove concettualizzazioni degli approcci psicodinamici (l'importante teoria dell'attaccamento di Bowlby, la Psicologia del Sè di Kohut, la teoria delle relazioni oggettuali della Klein e della "scuola britannica", i preziosi contributi di Bion e Fonagy...).


Concludendo, se dovessi condensare in un'unica espressione quale sia la caratteristica fondamentale della psicoanalisi, è che essa rende più liberi (sapere è sempre meglio che essere agiti) e continuerà sempre ad essere una delle discipline più vicine all'essere umano e al suo desiderio inestinguibile di ampliare la propria umanità.


Per quanto se ne dica, la psicoanalisi rimane un potentissimo fattore di cambiamento personale (e addirittura sociale), se non lo strumento primum inter pares più efficace nel mondo occidentale per ampliare la conoscenza di se stessi.


"Tutto quello che è interessante accade nell'ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini."

L.F.Celine


Note bibliografiche: gli autori citati sono riportati nel numero speciale del cinquantesimo anno della rivista Psicoterapia e scienze umane (Franco Angeli, 2016, Volume L, n.3)

Celine, L.F. (1932), Viaggio al termine della notte. Milano: Corbaccio, 2011


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